Truppe italiane in Ucraina, il no della Lega: «I nostri voterebbero contro»
L’eventualità di un impegno militare diretto crea scompiglio tra i parlamentari del Carroccio. Meloni evita attriti e cita l’Onu. L’effettivo invio di soldati appare un’eventualità ancora remota

«Un tema come l’invio di truppe, che riguarda interessi molto seri a livello internazionale, può portare a conseguenze pesanti», sospira uno dei pezzi grossi della Lega. Sarà pure un dibattito prematuro, innescato da Emmanuel Macron per rilanciare una leadership in crisi e far vedere che l’Europa batte un colpo, ma il riflesso che ha in Italia la sola ipotesi di mandare soldati al fronte è dirompente: la voce che su questo nodo cruciale la Lega sarebbe pronta a far cadere il governo si sta spargendo a macchia d’olio e sarà anche per questo che Giorgia Meloni mette le mani avanti e parla di contingente Onu. Un modo per buttare la palla in tribuna.
Del resto, Matteo Salvini lo fatto capire chiaramente che «prima di farci inviare un solo soldato dovranno essere molto convincenti». Uscita in stile diplomatico scandita davanti alla stampa straniera. «Un esercito guidato da Ursula von der Leyen dopo 20 minuti dovrebbe ritirarsi», è quella più tranchant verso l’Europa e i suoi vertici.
Ma se il Capitano erige un muro tra sé e la partenza di C130 carichi di nostri avieri e paracadutisti non è solo per vellicare la tradizione pacifista del Carroccio: ma perché sa che aria tira tra i suoi deputati e senatori. A detta di chi ne tasta ogni giorno il polso «sono in tanti pronti a non votare un decreto per l’invio di nostri soldati, anche se fossero costretti a farlo da Meloni». Le camicie verdi sono infatti cresciute con l’eco della voce roca di Umberto Bossi che si scagliava in aula contro l’uso delle basi Nato nella guerra in Serbia, a fine Novecento, un quarto di secolo fa. La vocazione «neutralista, di non belligeranza» del Carroccio, radicato in regioni di confine come quelle del Nord Est, potenzialmente più esposte verso i fronti di guerra nei Balcani, resta tale.
«I nostri si sono stufati di mandare armi in Ucraina, figuriamoci se gli dovessimo chiedere di finanziare una missione per mandare migliaia di nostri ragazzi al fronte», spiega uno dei tre dirigenti che hanno già fatto un primo sondaggio tra gli scranni della Lega. «Basta guardare le assenze di leghisti quando si tratta di votare per le armi. Un fatto così importante come far partire addirittura le nostre truppe può portare a scelte radicali».
C’è pertanto un non detto nel dibattito dentro la maggioranza sul nodo dei boots on the ground: il fatto che l’invio di soldati in Ucraina si trasformerebbe in una trappola per Meloni.
Detto questo, mandare soldati italiani in Ucraina non sarebbe questione di giorni o settimane, ma casomai di mesi. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che si considera dopo la premier l’unico titolato a discettare del problema, svela l’irritazione per il colpo di acceleratore impresso da Macron e Starmer, con un tweet senza peli sulla lingua: sui «contingenti europei che non si inviano come si invia un fax e se si parla a nome dell’Europa bisognerebbe avere la creanza di confrontarsi prima con le altre nazioni».
Primo colpo, cui segue un’altra stilettata per ricordare a tutti che l’invio di truppe «come ogni impegno internazionale, dovrebbe avere dei passaggi parlamentari, molteplici e complessi e non è un modo utile su cui impegnare il dibattito politico».
Basta sentire cosa ne dicono i tecnici della Difesa e del governo, per capire quanto sarebbe lungo l’iter da affrontare: tanto per cominciare, mandare solo truppe europee in Ucraina non andrebbe bene, perché i russi non vogliono, quindi bisognerà mandare truppe Onu. «Come in Libano – spiega una fonte addentro alla questione – devi coinvolgere Paesi distanti, ad esempio Brasile o India, che fanno parte dei Brics, quindi graditi alla Russia. Il comando lo dovrebbero prendere a ruota i Paesi che mandano più uomini e quanti ne potrebbe mandare l’Italia? Dovrebbe ri-dislocare una parte dei contingenti che operano nei Paesi baltici, piloti di caccia intercettori che ogni giorno in missione incrociano 4 o 5 caccia russi che sconfinano, top gun molto richiesti dai Paesi confinanti con la Russia».
Insomma, un iter complesso, che dovrebbe essere preceduto da passi ancora nemmeno avviati: un primo cessate il fuoco al fronte, poi il passaggio diplomatico di una tregua, che presume l’inizio di trattative; quindi l’apertura di un tavolo di pace. Concluso il quale, con una conferenza internazionale, si potrebbe arrivare alla pace. Solo a quel punto si può prevedere una missione internazionale con Russia, Cina e l’ombrello Onu. Figuriamoci i tempi. Il governo almeno per ora non rischia la crisi.
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