Il karate per combattere la dittatura di Pinochet: Paulina Vicencio arriva in Veneto
La karateka cilena vittima del regime da martedì 25 febbraio si trova Quinto di Treviso in occasione dell'Heart Cup ha raccontato la sua storia nel libro "Inizio a vivere a 41 anni"
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Una vita tra esilio, karate e la ricerca delle figlie perdute. Il Veneto diventa crocevia di storie e passione con l’arrivo di Paulina Vicencio, accompagnatrice della delegazione cilena di karateki in preparazione per l'Heart Cup di Ponzano. Tappa a Quinto per presentare il suo ultimo libro, "Inizio a vivere a 41 anni", un racconto crudo e commovente di una vita segnata dalla dittatura di Pinochet, dall'esilio in Svezia.
La storia
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Una storia che non ha ancora un lieto fine ma Vicencio, alla soglia dei 76 anni, continua a coltivare il sogno di riabbracciare le figlie. Forte dello spirito di combattente che è stato plasmato anche dal karate. Nata a Osorno il 7 maggio 1949, Paulina Ana Vicencio Guzmán cresce in una famiglia di sinistra, attiva nel Partito Socialista. Padre veterinario, madre e nonna casalinghe, un fratello maggiore medico e gli altri, più piccoli, ancora sui libri. Vicencio interrompe gli studi per sposarsi, nascono due figlie. Tutti vivevano sotto lo stesso tetto in una famiglia allargata, tutti erano felici per l'elezione a presidente di Allende: «Eletto democraticamente, aveva estimatori in tutto il mondo», sostiene Paulina.
La sua vita viene sconvolta dall'11 settembre 1973, il giorno del golpe di Pinochet. Paulina lavorava come farmacista in un ospedale quando i militari fecero irruzione, arrestando i sospetti oppositori al regime. Paulina, nonostante la sua attività politica si limitasse a marce e riunioni, viene arrestata e portata in un centro di detenzione. «Mi hanno portata via con un veicolo militare, mi hanno buttata a terra, mi hanno puntato contro una mitragliatrice e mi hanno portata alla stazione di polizia dei Carabineros», racconta Paulina con voce ferma, gli occhi che brillano di una luce intensa. «Sapevano che eravamo una famiglia di sinistra, ma non avevamo nessuna responsabilità politica. Il mio ex marito, sostenitore di Pinochet, voleva strapparmi via le mie figlie».
ll periodo in carcere e l’esilio
La detenzione è un incubo: interrogatori, torture psicologiche, la paura costante. Paulina viene trasferita nella prigione femminile di Los Angeles, dove le viene offerta una scelta: rinunciare alle sue figlie in cambio della libertà, o morire. Sotto la minaccia di una mitragliatrice, firma la rinuncia. Inizia così un lungo esilio, prima in Argentina, poi in Svezia. Il pensiero delle figlie non la abbandona mai. «Ho scritto centinaia di lettere, ho provato a tornare indietro», racconta. «Nel 1980 ho rischiato di finire di nuovo in prigione perché ho provato, con il mio attuale marito, a fare rientro in Cile».
Il rientro in Cile
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Il ritorno effettivo avviene nel 1989. Ma il destino ha in serbo un'altra prova: le figlie non vogliono incontrarla, forse influenzate dal padre, l'ex marito di Paulina. «Nonostante tutto, loro sono le mie figlie», dice Paulina con dolcezza. «Ho dovuto imparare a convivere con questa situazione». La vita di Paulina trova una nuova linfa nel karate, una passione nata in gioventù e riscoperta in età adulta. «Il karate mi ha insegnato a combattere, a non arrendermi», spiega. «Mi ha permesso di avere un corpo sano e tonico, mi ha insegnato ad affrontare meglio la vita e mi ha trasmesso dei valori». Oggi, Paulina insegna karate a circa 200 ragazzi. E non smette di sognare.
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