Tra qualche anno, di buona parte delle grandi abetaie del Nord Est resterà poco più che un ricordo

Effetto bostrico: ecco come un coleottero di mezzo centimetro sta uccidendo l’abete rosso, il (fragile) re delle nostre montagne

Sergio FrigoSergio Frigo

A questo punto è quasi certo: fra qualche anno di buona parte delle grandi abetaie del Nordest resterà poco più che un ricordo. L’abete rosso, il re delle nostre montagne, sta infatti cedendo all’aggressione di un coleottero di mezzo centimetro di lunghezza, il Bostrico. E non avviene solo alle nostre latitudini, ma un po’ ovunque nel mondo, per colpa dello stesso insetto o dei suoi cugini della sottofamiglia degli Scolitidi, il cui nome rimanda al greco skolypto (taglio) per la loro abitudine di scavare gallerie sotto la corteccia degli alberi, bloccando il normale flusso dei fluidi vitali e portandoli rapidamente alla morte.

Dall’Austria alla Germania, dalla Svizzera alla Polonia, dal Nord America alla Siberia questi insetti stanno decimando le più estese e maestose foreste del mondo: il Dendroctonus Ponderosae, ad esempio, ha già provocato nel Nord America la perdita di 750 milioni di metri cubi di legname, il triplo di tutti i boschi di abete rosso esistenti in Italia.

Se in questi giorni siete in giro per le montagne del Nordest, avrete sicuramente notato le chiazze di abeti seccati, sempre più vaste e sempre più numerose: il danno arrecato finora dal Bostrico ha praticamente raggiunto quello provocato nel 2018 dalla tempesta Vaia (16 milioni di alberi abbattuti, su 40mila ettari), che di tutto questo è stato l’innesco, e il contagio non accenna a fermarsi, anche se la primavera fresca e piovosa ha determinato probabilmente un temporaneo rallentamento.

Ma se all’inizio dell’infestazione alcuni studiosi ipotizzavano il raggiungimento del picco e poi la regressione del parassita nell’arco di cinque anni, ora uno dei maggiori esperti italiani di Scolitidi, Massimo Faccoli, docente di Entomologia Forestale all’Università di Padova, ammette che “la guerra è perduta”.

Per comprendere come si è arrivati a questo punto, perché non si è riusciti a fermare un contagio che già all’indomani di Vaia era dato per scontato e quali effetti tutto questo sta provocando e provocherà sull’ambiente naturale e nelle comunità umane delle Prealpi e delle Alpi (oltre che nell’immaginario collettivo, visto che a seccarsi e morire è l’emblema del paesaggio montano e… del Natale) si rivela prezioso il libro “Sottocorteccia – Un viaggio tra i boschi che cambiano” (Ed. People, pp. 304, € 16), scritto a quattro mani dal giovane antropologo e scrittore vicentino Pietro Lacasella e dal dottore forestale e giornalista toscano Luigi Torreggiani.

La complessità dei meccanismi

Si tratta di un documentatissimo reportage scritto in forma di diario/dialogo fra i due autori, che non è solo una vera e propria “enciclopedia” del Bostrico, ma una riflessione più ampia sulla montagna italiana e il suo possibile futuro, e più in generale “sulla complessità dei meccanismi che regolano le sorti della convivenza fra Foreste, Uomini e Insetti”, come scrive nella postfazione proprio Massimo Faccoli (la prefazione è di Marco Albino Ferrari).

Partiamo dunque ab ovo, in senso letterale, cioè dai maschi adulti del Bostrico che penetrano nella corteccia dell’abete e vi ricavano una “camera nuziale” in cui si accoppiano con due o tre femmine; esse a loro volta scavano delle gallerie di 10-15 centimetri, dove depongono fino a un centinaio di uova, da cui nascono le larve, che si mettono subito al lavoro per ricavare sempre nello spazio fra la corteccia e il tronco le proprie gallerie, lunghe sui cinque centimetri, dove, in apposite celle, diventano pupe e quindi esemplari adulti: pronti a questo punto ad uscire allo scoperto e procedere alla colonizzazione delle altre piante vicine.

L’esito di questo lavorio si vede bene esaminando un pezzo di corteccia, che a quel punto si stacca facilmente dal tronco: l’intreccio esteticamente pregevole delle gallerie ha fatto ribattezzare il Bostrico Ips Typographus. Ogni abete, tanto per avere un’idea della pervasività dell’insetto, arriva a ospitarne fino a 60-70mila, che attualmente generano anche tre covate all’anno, invece della singola covata del passato, quando faceva meno caldo.

Il video commento di Matteo Righetto

Matteo Righetto: il flagello bostrico e i suoi effetti sulla montagna, dopo Vaia. Dobbiamo cambiare

La specie forestale più importante

E parliamo ora della vittima predestinata del piccolo killer, l’abete rosso: il compianto studioso forestale Giovanni Bernetti, citato nel libro di Lacasella e Torreggiani, lo definiva “la specie forestale più importante del mondo”, che si è imposta nei secoli - per la sua facilità di coltivazione e la duttilità nella lavorazione - come il legno da costruzione più importante in Europa.

In Italia, dove le foreste coprono il 36,7% del territorio, è secondo solo al faggio per diffusione, raggiungendo il 15,3% del volume legnoso totale, qualcosa come 230 milioni di metri cubi (un volume – fanno osservare gli autori – pari a oltre un mille volte l’area di Verona), su una superficie di 586mila ettari, cioè dieci volte l’area coperta insieme dai due principali laghi italiani (Garda e Maggiore), concentrata per il 78% nel Triveneto.

Le peccete (peccio è l’altro nome dell’abete rosso) sono costituite soprattutto da esemplari coetanei piuttosto anziani (il 45,6% ha più di 80 anni, solo il 16,5% ne ha meno di 40), esattamente quelli preferiti dal Bostrico perché indeboliti dagli stress accumulati con l’età e dotati di una corteccia sufficientemente spessa per “accasarsi”.

I molti punti deboli dell’abete rosso

Alto e maestoso, ammantato di richiami mitologici e di connotazioni emotive, il re delle nostre foreste ci ha tenuto nascosti a lungo i suoi punti deboli: un apparato radicale molto ridotto (rivelato proprio da Vaia), la fragilità di fronte ai cambiamenti climatici e l’esposizione agli attacchi dei parassiti, che nei milioni di alberi abbattuti dalle tempeste sempre più frequenti e stressati dal caldo di questi anni hanno trovato un enorme banchetto in cui fare man bassa.

Ed ecco il punto basilare: quella che emerge dal libro è l’impossibilità delle nostre abetaie, in particolare quelle più vecchie e ubicate alle quote inferiori, di resistere agli effetti dei cambiamenti climatici, dal caldo alla siccità agli eventi estremi e conseguenti attacchi dei parassiti.

Un dossier pubblicato sulla rivista Sherwood stima un aumento dai danni provocati dal Bostrico nel primo decennio del XXI secolo pari a sei volte quelli registrati nel periodo 1971-80, e un ulteriore aumento del 764% nel decennio in corso.

Cerchiamo di evidenziare, con gli autori del libro, gli effetti sull’ambiente e sugli uomini della montagna, che sulla convivenza con l’abete rosso hanno costruito la loro storia. Nel loro viaggio fra valli e comunità del Nordest colpite dall’epidemia - dalla Val Camonica alla Pusteria, dalla Val di Fassa al Cadore, dall’Altopiano dei Sette Comuni alla Carnia – i due autori hanno registrato fra i residenti (in molti casi ridotti a poche unità come nel paese udinese di Givigliana, dal campanile più colorato d’Europa) una vera e propria sensazione di lutto per la perdita di alcuni tratti del paesaggio su cui era modellata la loro stessa identità.

Le perdite economiche

Poi ci sono naturalmente le perdite economiche, che colpiscono principalmente comuni montani già investiti dalle difficoltà economiche e dall’abbandono degli abitanti. L’esperto forestale Gianni Rigoni Stern, figlio del grande scrittore asiaghese che già nel 1998, in occasione della laurea honoris causa all’Università di Padova, aveva messo in guardia dal pericolo del Bostrico, ricorda che prima di tutto questo il legname dalle nostre parti si vendeva a oltre 100 euro al metro cubo; ora – a causa dell’eccesso di offerta e dei danni collaterali a volte provocati ai tronchi dai funghi tossici con cui il coleottero vive in simbiosi – è difficile spuntare 60 euro, cifra che in alcuni casi non paga nemmeno i lavori di esbosco.

Se l’Etifor, società spin-off dell’Università di Padova, stima in 350 milioni di euro il deprezzamento complessivo del legname, come quantificare, si chiedono i due autori, “il danno relativo al dissesto idrogeologico, che aumenterà senza ombra di dubbio in tanti versanti denudati? Come valutare quello paesaggistico e ambientale?” Domande difficilissime per chi deve decidere cosa fare delle nostre foreste.

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