Uno studio sul ginepro dimostra che il manto nevoso dura sempre meno

L’allarme di Legambiente in vista della Giornata della neve, che cade il 19 gennaio. «La pianura non può ignorare il cambiamento climatico»

La redazione
Una pianta di ginepro coperta dalla neve durante l’inverno
Una pianta di ginepro coperta dalla neve durante l’inverno

La durata del manto nevoso nell’ultimo secolo si è accorciata in media di un mese a causa del riscaldamento atmosferico di circa 2°C.

E non solo l’anno scorso, pur in presenza delle nevicate tardive della primavera. Quest’anno, in prospettiva, il fenomeno rischia di ripetersi, perché manca la “materia” per fare riserva e quella in arrivo a primavera “si scioglie come neve al sole”.

Il 19 gennaio, per chi non lo sa, è la Giornata internazionale della neve e Legambiente ha perfezionato un’analisi con la collaborazione della Fondazione Cima.

L’Arpa Veneto ha certificato che alla fine dello scorso dicembre lo spessore del manto nevoso nelle Dolomiti era di 19 centimetri. Solo un anno fa, lo spessore del manto nevoso era di misura doppia (42). A fine 2024 la copertura nevosa sulla montagna veneta era di 1200 chilometri quadrati, un anno prima, alla stessa data, ne contava 230 in più.

Secondo uno studio pubblicato a dicembre 2024 sull’International journal of climatology, condotto da ricercatori dell’Università di Trento e dell’Eurac Research di Bolzano, sulle Alpi italiane la quantità di neve è diminuita rispetto a 100 anni fa. In particolare, tra il 1920 e il 2020, la neve è calata del 34%, con differenze marcate tra le Alpi settentrionali e quelle sudoccidentali: rispettivamente –23% e quasi –50%.

Conferme analoghe provengono da uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Nature climate change (Recent waning snowpack in the Alps is unprecedented in the last six centuries), che ha rivelato come il manto nevoso nelle Alpi centrali non sia mai stato così effimero negli ultimi seicento anni. Inoltre, nell’ultimo secolo, la durata della neve, come si diceva, si è accorciata in media di un mese a causa del forte riscaldamento.

E sapete come i ricercatori sono arrivati a questo risultato? Studiando il ginepro, vera e propria sentinella del cambiamento in atto.

Come ricorda Legambiente, il ginepro comune è un arbusto che cresce lentamente e benché sia longevo – spesso pluricentenario – sopra i 2000 metri in montagna si sviluppa per pochi decimetri da terra con portamento strisciante a causa delle severe condizioni ambientali (vento, gelo, neve), di conseguenza viene facilmente sepolto fin dalle prime nevicate autunnali.

Più la neve si mantiene a lungo, meno l’arbusto compie fotosintesi e cresce. Viceversa, meno neve, più l’arbusto cresce ed è quello che sta succedendo sulle montagne.

La carenza di neve si rifletterà in pianura, attraverso la siccità: «Il manto nevoso», dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di Cipra Italia, «agisce anche come serbatoio di acqua superficiale, determinando i tempi di deflusso che sostengono le richieste idriche ambientali e umane a valle.

Una riduzione persistente della quantità e della durata della neve produrrà probabilmente effetti profondi sugli ecosistemi, con gravi ripercussioni a cascata sul benessere umano e sulla fruibilità della montagna.

Questo aspetto non può più essere ignorato nella pianificazione politica della gestione delle risorse idriche, con una particolare attenzione alle Alpi come agli Appennini» .

Ma c’è di più: l’aumento delle temperature ridurrà in modo significativo la probabilità di un innevamento affidabile al di sotto dei 2.000 metri di quota. «Tuttavia, anche le quote più elevate subiranno delle ripercussioni», dicono da Legambiente.

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