Dilemmi etici delle nuove Ai

L’esperto Hasselberger e il ricercatore Miele a confronto sui nodi morali dei chatbot

Francesca Schillaci
Da sinistra Francesco Miele e Wlliam Hasselberger. Foto Lasorte
Da sinistra Francesco Miele e Wlliam Hasselberger. Foto Lasorte

L’intelligenza artificiale (Ai) influenza molti aspetti della vita quotidiana. Non solo professionalmente ed economicamente, ma anche dal punto di vista relazionale. In questo senso, si innescano inevitabilmente dei quesiti che chiamano in causa l’etica.

La creazione di un “chabot”, ovvero di un assistente digitale progettato per dialogare con gli esseri umani, è uno dei temi più centrali nell’evoluzione dell’Ai e dei suoi riscontri nel futuro della società. Il fulcro della lectio magistralis tenutasi ieri nell’Area talk di Trieste Next in piazza Verdi, ha visto William Hasselberger, professore associato all’Istituto di studi politici dell’Università Cattolica del Portogallo e direttore del Laboratorio di Etica digitale dialogare con Francesco Miele, ricercatore di Sociologia all’Università di Trieste su “Il mio chabot è sempre con me: gli smart assistant e i dilemmi etici”.

La conferenza ha riscontrato un grande interesse da parte della cittadinanza, coinvolgendo giovani e adulti. L’argomento trattato infatti è motivo di continui dibattiti e riflessioni, soprattutto su quali siano gli effetti dannosi che può scatenare l’utilizzo improprio dell’Ai da un’intera società.

Non solo il singolo individuo, dunque, è il motore di una digitalizzazione futura, ma la scelta che un intero sistema decide di attuare. La necessità di assumersi specifiche responsabilità nasce dalla conoscenza del fenomeno che, nel caso specifico di ieri, è l’esistenza di “smart assistant” o “virtual companions” chiamati anche “chabot”, realtà virtuali che interagiscono con gli esseri umani con la creazione di uno specifico carattere desiderato.

La domanda centrale del dibattito si è basata su come queste realtà possano sostituire le relazioni umane e quanto le possano modificare. «L’Ai ha un linguaggio in crescita – spiega Hasselberger – anche per quanto riguarda la sfera delle emozioni e la dimostrazione di interesse verso l’uomo, ma non può sostituire la cura che avviene tra un essere umano verso l’altro». Avatar, Siri, Google sono alcuni di questi chabot che interagiscono con l’uomo e «mimano delle emozioni», ma non possono sostituire la «relazione intima che esiste solo tra umani». Una realtà virtuale che si relaziona con noi «non è la stessa cosa di un amico – specifica Hasselberger – perché non può provare dolore né empatia».

Il rischio presente nella nostra società è un isolamento sempre più forte, soprattutto tra i giovani che scelgono di relazionarsi con un “chabot” piuttosto che mettersi in gioco in una relazione umana. «Questo è un pericolo – così Hasselberger – ma sta a una società democratica sfruttare l’arrivo dell’Ai per interrogarsi su quale tipo di futuro vuole avere, anche nel bene che l’Ai può portare per esempio in ambito professionale, chiarendo così anche cosa siano i valori della vita. In particolare dell’amicizia, il più alto fra tutti». —

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