Le vigne, il forziere, il declino. L'addio di "Re Gianni" Zonin, svolta storica alla Popolare di Vicenza (e non solo)
VICENZA. Lo chiamavano “Re Gianni”. Ha guidato la banca per quasi due decenni: presidente dal 1997, ne è consigliere da 32 anni, dal 1983. Occhi cerulei, quasi di ghiaccio. Anni 77. Nato a Gambellara nel 1938. Vicentino nel sangue, imprenditore vitivinicolo nel cuore: presidente dell’azienda familiare Zonin Spa da quando aveva 29 anni. Padre di tre figli. Maschi. Ne ha preferito uno, Domenico, nella successione seguendo le rotte del padre (e anche gli insegnamenti). Credente. Cavaliere del lavoro. Uomo di comunicazione e di relazioni.
In città si dice che non esca una cassa di vino, dalle sue tenute, senza la sua firma. Per questo in molti non hanno creduto alle sue parole il 6 settembre scorso, quando in una convention davanti a 800 dipendenti, ha incolpato il precedente management.
Oggi Popolare di Vicenza ha quasi 700 sportelli da Nord a Sud Italia e 5.500 dipendenti. Ma sotto il controllo della Bce, la banca ha ridimensionato il valore dell’azione da 62,5 euro a 48, ha chiuso l’ultima semestrale con un rosso di oltre un miliardo e ora dovrà affrontare un aumento di capitale da 1,5 miliardi perché il Cet1, il ratio patrimoniale più significativo nei parametri della Bce, è sotto la soglia minima. Zonin non ci voleva andare, in Borsa, ma la sorte sarà questa. In tempi ormai brevi e con un taglio del valore delle azioni che, dicono alcuni esperti, le porterà sotto i 14 euro.
La tegola del mercato ha colpito così anche l’uomo delle più illustri relazioni, che tanto aveva investito, tra film e filiali, a Roma, centro pulsante della politica e di chi conta. E' la Bce che preme per il ricambio. Una svolta storica per la Popolare, il cui board ancora oggi rispecchia il suo presidente a iniziare da Marino Breganze, 67 anni che siede lì dal 1986 ed è suo vice e presidente di Banca nuova.
Una svolta storica per la città di Vicenza, il Veneto, il Nordest.
Fino a poco tempo fa le sue spalle erano ben coperte: Bankitalia ha sempre approvato le tappe forzate della crescita della piccola banca vicentina che voleva essere “polo aggregante”. Nel Cda siede ancora oggi Andrea Monorchio, che fu ragioniere dello stato per 13 anni. Nel 2013 il presidente ingaggiò Giannandrea Falchi, già collaboratore di Mario Draghi, come consigliere per le relazioni istituzionali. Nel 2008 Luigi Amore, ex ispettore della Vigilanza, diventò responsabile dell’Audit interno. E perfino un ex procuratore della repubblica a Vicenza come Antonio Fojadelli entrò nel cerchio diventando amministratore nella controllata Nordest sgr.
Oggi la linea, dopo l’espansione, è quella della difensiva e in città si dice che l’uomo dagli occhi di ghiaccio non esce di casa senza i suoi ranger. I rumor di piazza si inseguono: tra manifestazioni di soci e grillini davanti a casa, scritte offensive sui muri, ristoranti abbandonati per le proteste dei clienti. E’ da mesi, da quando la Procura ha aperto l'inchiesta iscrivendolo nel registro degli indagati, che Zonin non passeggia indisturbato, come usava talvolta fare in passato, lungo corso Palladio.
E’ finita la ricetta della felicità? Basta guardare al valore delle azioni per capirlo, nonostante il quasi “blocco” degli ultimi anni. Dal 1996 quando valevano 27,1 ai 62,5 euro del 2011 la banca si è dimostrata forte e si è così difesa dalle scalate. “Non saremo mai un boccone” diceva il presidente difendendo il valore delle azioni. Titoli che erano anche un premio di fedeltà ai soci: un bene da trasmettere quasi in eredità di generazione in generazione. Oggi scopriamo che quasi un miliardo di patrimonio è stato finanziato. Azioni in cambio di mutui, prestiti. E la procura indaga. Zonin stesso è sotto inchiesta.
La sua “grande banca” lanciata nel 2013 con l’obiettivo di tagliare quota mille sportelli non è divenuta realtà. Anzi: oggi ci sono 575 esuberi e 150 sportelli da chiudere. Fallito il progetto delle fusioni: Cariferrara, Etruria e Marche, su cui Zonin aveva puntato le sue fiches, sono tre delle quattro banche appena salvate dal Mise dalla bancarotta. Ma forse, proprio nella debolezza delle prede, Popolare di Vicenza avrebbe avuto il controllo. Quello che deve avere sempre provocato la fumata nera nelle trattative con Vincenzo Consoli per il matrimonio con Veneto Banca.
Per Zonin non si concretizzerà nemmeno il sogno di essere sul palco per festeggiare, l'anno prossimo, i 20 anni da presidente. Ancor più difficile sarebbe stato, forse, affrontare la prossima assemblea dei soci. L’ultima ancora una testa un voto.
Anche la liturgia assembleare cambierà. Zonin ha sempre detto di voler tornare tra i suoi vigneti disseminati tra Piemonte, Veneto, Toscana e Sicilia. Ma non è detto che un nuovo ruolo possa venir ricavato per lui. “Sono e resto un viticultore prestato alla finanza, se dovessi scegliere non avrei dubbi” diceva. Oggi Zonin è anche presidente della Fondazione Giuseppe Roi, costituita nel 1988 dall’omonimo marchese che l’ha presieduta fino alla morte nel 2009. Pochi mesi fa quasi 30 milioni di euro, secondo l'Espresso, sarebbero stati investiti in azioni e bond della Popolare di Vicenza.
(Eleonora Vallin)
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