Venier: «Sicurezza energetica il Nord Est area chiave»
Con Stefano Venier, 61 anni, udinese, amministratore delegato dall’aprile 2022, Snam ha riorientato il sistema nazionale di approvvigionamento di gas messo duramente alla prova, come quelli di mezzo mondo, dalla guerra russo-ucraina
Da Paese importatore di gas a Paese di transito che diversifica le fonti e punta sulla sicurezza delle proprie reti energetiche, condizione ineludibile vista la turbolenta situazione geopolitica. Con Stefano Venier, 61 anni, udinese, amministratore delegato dall’aprile 2022, Snam ha riorientato il sistema nazionale di approvvigionamento di gas messo duramente alla prova, come quelli di mezzo mondo, dalla guerra russo-ucraina. «È cambiato molto – spiega – negli ultimi due anni e mezzo. Subito dopo lo scoppio delle ostilità, ridottosi il canale con la Russia, il tema era conquistarsi il gas sui mercati, ora il tema si è spostato sul prezzo e sulle rotte di approvvigionamento».
E intorno un mondo che non è più lo stesso.
«La crisi che stiamo vivendo non ha impattato solo sui mercati dell’energia, ma in generale su quello delle commodity. È una crisi multifattoriale, perché non ha solo radici geopolitiche, ma origini che risalgono anche alla pandemia, si pensi solo ai cambiamenti nella logistica e nelle reti di fornitura. Il vecchio ordine si è disgregato, il multilateralismo è in crisi ed è subentrata una logica dei blocchi difficile da mappare. Un nuovo ordine fatica a farsi strada. Aggiungiamoci che i teatri dei conflitti sono molto vicini all’Europa, cioè a noi».
Questo cosa comporta per il sistema nazionale di approvvigionamento del gas?
«Serve una risposta articolata a uno scenario completamente cambiato, innanzitutto in una logica di diversificazione delle fonti. Va detto che in Italia la situazione è migliore che in altri Paesi. In un contesto in cui sono venuti improvvisamente a mancare flussi di energia da Nord, abbiamo potuto contare, a Sud, su rapporti bilaterali consolidati con Paesi produttori come l’Algeria. E il nuovo gasdotto Tap, si è rivelato utilissimo per le forniture dall’Azerbaigian. Poi c’è il canale dell’approvvigionamento di Lng, il gas naturale liquefatto, quello che arriva via nave ai rigassificatori. L’Europa ne consuma il 40% del proprio fabbisogno, e anche l’Italia sta arrivando a quella quota».
L’industria, specie quella energivora, lamenta i costi alti dell’energia in Italia. Di recente a Vicenza l’assemblea di Federacciai ha visto varie voci di imprenditori esprimersi in questo senso.
«Quando parliamo di energia parliamo di gas da un lato e di energia elettrica dall’altro. Il prezzo del gas negli Stati Uniti, il più grande produttore mondiale e il maggiore esportatore, è un quarto di quello europeo. Solo lo scorso anno gli Usa hanno esportato 100 miliardi di metri cubi di gas, l’Italia all’anno ne consuma 62. Disporre della materia prima in casa è un vantaggio, è lo stesso vantaggio di cui gode il Medio Oriente. Se poi guardiamo all’energia elettrica, la Cina per produrla consuma il 55% del carbone a livello mondiale. Questo fa sì che lì il prezzo di energia sia particolarmente competitivo. E restando alle opzioni attualmente disponibili in Italia, le fonti rinnovabili richiedono investimenti estremamente elevati».
Siamo alla vigilia dell’inverno, cosa può dire riguardo alla stabilità delle forniture di gas e agli stoccaggi?
«Quest’anno, anche più dell’anno passato, siamo particolarmente avanti con il lavoro. Già alla fine dell’altra settimana abbiamo superato il 95% di riempimento degli stoccaggi. Parliamo di 12-13 miliardi di metri cubi di gas: se consideriamo che il nostro Paese d’inverno ne consuma 35-40, vuol dire che da lì viene il 25% del fabbisogno, soprattutto domestico».
Poi ci sono i rigassificatori. Ad esempio Snam sta per salire al 30% in Adriatic Lng, la società che gestisce il rigassificatore di Rovigo.
«Di fatto fino a due anni fa l’unica infrastruttura di rilievo era il rigassificatore di Rovigo, in grado di importare 9,5 miliardi di metri cubi all’anno. Fra qualche mese, quando sarà in funzione il sito di Ravenna, il Paese passerà a 28 miliardi di metri cubi, il 40% del consumo totale. Infine stiamo potenziando la capacità di trasportare il gas da Sud a Nord, dov’è c’è il maggiore fabbisogno. Tanto più che il nostro Paese ha assunto un ruolo di cerniera fra i Paesi a Nord e il bacino del Mediterraneo. I flussi dal Sud rappresentano il 50% del nostro consumo e presto l’Italia disporrà di un 20% in più di capacità di trasporto».
È il tema della Linea Adriatica, per garantire l’attraversamento del gas verso Nord.
«È un altro tassello della nostra strategia complessiva, quando sarà completata avremo tre grandi direttrici via tubo che vanno da Sud a Nord. Perché un altro grande cambiamento che c’è stato in conseguenza della crisi in Ucraina, è che adesso prendiamo il gas a Sud per portarlo a Nord, il contrario di quanto succedeva prima».
Sul territorio queste strategie si traducono in forti investimenti.
«Stiamo potenziando le stazioni di pompaggio di Poggio Renatico e di Istrana. A Malborghetto investiamo quasi 200 milioni per le stazioni di compressione in grado di invertire il flusso del gas, perché da lì passerà il gas che esporteremo verso Austria, Slovacchia e Ungheria, ancora oggi fortemente dipendenti dalle forniture russe. Ricordiamo che fino a qualche anno fa la stazione serviva a ricevere il gas dalla Russia, mentre ora diventa un nodo importante in un’ottica di politica energetica europea».
Parliamo delle tecnologie per il futuro. A Ravenna Snam sta sperimentando con Eni un sistema di cattura dell’anidride carbonica.
«La fase 1 è partita in agosto. È un unicum a livello europeo, riutilizziamo quelli che erano i giacimenti di gas per stivare la CO2. È una delle soluzioni che possono contribuire alla decarbonizzazione».
Le applicazioni concrete?
«A regime, completato il quadro regolatorio, Ravenna potrà servire alle industrie energy intensive come siderurgia, cementifici, raffinazione, vetro e ceramiche. Attualmente parliamo di un piccolo impianto che è sperimentale ma funziona già, puntiamo ad arrivare alla capacità di 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, e a salire fino a 16».
Infine il tema dell’idrogeno.
«Il nostro progetto principale è il SoutH2 Corridor, uno dei corridoi identificati dalla Commissione europea per portare nella Ue l’idrogeno verde, da Algeria a Tunisia all’Italia e di qui in Austria e Germania. Poi stiamo conducendo alcune sperimentazioni. Una a Modena, una in Puglia e anche a Trieste in collaborazione con AcegasApsAmga».
Quest’ultima in cosa consiste?
«In un impianto pilota di produzione di idrogeno verde, investimento che servirà a misurare le performance produttive su scala industriale, non più all’interno dei laboratori».—
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