L’esperta di intelligence: «Le tensioni politiche nell’Artico aumenteranno, anche l’Italia è coinvolta»

Emanuela Somalvico: «Può diventare una delle zone più calde. Lo scioglimento del ghiaccio rivoluzionerà le rotte dei trasporti, la Cina collabora con la Russia per costruire nuovi rompighiacci»

Riccardo Sandre
L’aereo che ha portato Trump Jr in vista privata in Groenlandia
L’aereo che ha portato Trump Jr in vista privata in Groenlandia

«L’Artico potrebbe diventare una delle zone più calde del mondo e l’Italia rischia di entrarci eccome, pure in barba alla sua distanza geografica». A dirlo Emanuela Somalvico, direttore dell’Osservatorio di Intelligence sull’Artico e autrice del libro “Prospettive Artico. Nuove sfide per l’Intelligence”.

Somalvico è stata protagonista nei giorni scorsi dell’evento “Rotte artiche: criticità e opportunità”, organizzato a Mestre dall’associazione culturale Fondaco Europa, presieduta da Arcangelo Boldrin. La questione dell’Artico sta avendo grande notorietà per effetto delle dichiarazioni del presidente americano Donald Trump sull’annessione della Groenlandia.

Emanuela Somalvico
Emanuela Somalvico

Dottoressa Somalvico, quelle di Trump sono solo boutade prive di logica?

«No: la regione artica è un vasto braccio di mare in parte ricoperto di ghiacci che è ricco di materie prime, terre rare ma anche strategico per la pesca. Un’area dove insistono gli otto stati artici - Canada, Russia, Finlandia, Groenlandia-Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda e Stati Uniti - che siedono nel Consiglio Artico. Un istituto dove hanno ampia voce le comunità umane locali e che vede la partecipazione, in qualità di osservatori, di molti Paesi, tra cui anche l’Italia e la Cina. L’area è considerata zona di cooperazione e per lunghi anni tutti i Paesi interessati hanno lavorato insieme ad attività di studio e di ricerca».

Perché ora la situazione sta cambiando?

«Già dal 2008 la Russia ha annunciato la volontà di sviluppare la propria zona artica, procedendo ad una crescente militarizzazione. Da qui un progressivo riarmo dell’intera area, più o meno depotenziata con la fine della Guerra Fredda. Tutto ciò avviene in concomitanza con il progressivo scioglimento del permafrost e dei ghiacci. Un fenomeno che sta aprendo alla possibilità di quel “passaggio a Nord Ovest” che comporterebbe vantaggi notevoli alla navigazione commerciale mondiale».

In che senso?

«Si stima che un Artico navigabile ridurrebbe di circa un terzo i tempi e i costi della navigazione tra Shanghai e Rotterdam, abbassando i costi dei noli marittimi. Attualmente l’incertezza sull’evoluzione della crisi climatica dell’Artico è ancora molto elevata ma alcune cose si sanno per certe».

Quali?

«I ghiacci si stanno sciogliendo più rapidamente sul lato prossimo alle coste della Siberia russa, favorendo una delle tre possibili rotte e cioè la North Sea Route (Nsr) rispetto alla rotta Alaska-Canada e all’ancora più ipotetica Transpolar route che bypasserebbe le acque territoriali degli Stati artici e sarebbe di gran lunga più rapida. Attualmente si stima che le navi rompighiaccio in forza alla marina russa siano almeno cinquanta, mentre tutti gli altri Stati hanno flotte più modeste. Nel frattempo la Cina sta investendo nell’analisi dei fondali dell’area e sulla implementazione della rotta Nsr. Il Canada invece, complice uno scioglimento dei ghiacci meno evidente, non sta facendo granché, anche dal punto di vita militare, scatenando le critiche degli Usa».

Si muovono solo i Paesi direttamente interessati?

«Direi proprio di no. A novembre India e Russia hanno siglato un accordo per istituire una rotta che parte dal porto di Chennai e approdare a Vladivostok e poi, su, verso la Nsr. L’accordo prevede la costruzione di navi rompighiaccio indiane e la formazione, in Russia, di marinai specializzati».

Un colpo potenzialmente pesante alla rotta che passa per Suez e il Mediterraneo.

«Non è detto. L’India spinge anche per il rafforzamento della rotta Imec confermando, almeno in parte, il ruolo di Suez e di porti come Genova e Trieste».

Nei giorni scorsi la Danimarca ha annunciato un budget da 2 miliardi per la difesa della Groenlandia e poco dopo una nave cargo sembra avere speronato una rompighiaccio russa. Ci sono altri elementi di tensione?

«La guerra in Ucraina ha aumentato il nervosismo, riducendo gli spazi di manovra di quell’istituto multilaterale che è il Consiglio Artico. L’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, pure pienamente legittimo, non è piaciuto alla Russia mentre per la prima volta Cina e Russia hanno proceduto a pattugliamenti congiunti dello stretto di Bering. Poi c’è la questione delle isole norvegesi Svalbard, dove insiste un trattato del 1920 che stabilisce limitazioni agli insediamenti militari e concede a tutti i Paesi firmatari di avviare attività commerciali: attualmente anche la Russia conta due piccole enclave».

E l’Italia in tutto ciò come si colloca?

«L’Italia è un Paese osservatore del Consiglio Artico dal 2013 e conta su non poche missioni scientifiche e una presenza di lunga data. È un Paese che aderisce alla Nato e, in qualità di membro fondatore della Ue, è parte di un’istituzione politica che accoglie direttamente tre Paesi artici, più un quarto che è l’Islanda».

E dal punto di vista economico-commerciale?

«L’area sta vedendo investimenti infrastrutturali crescenti, non solo nel settore dell’estrazione di materie prime, ma anche per la realizzazione di porti, insediamenti, cantieri e così via. Gli investimenti annui degli 8 paesi artici arrivano a sfiorare i 107 miliardi di dollari, di cui però il 61% è russo, il 14,4% è statunitense mentre il Canada conta attualmente solo il 2,6% sul totale. Sono cifre destinate a crescere e le nostre imprese possono trovare qui ottime opportunità». 

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