Così le bricole in laguna a Venezia possono trasformarsi da guide in pericoli
Il nostro reportage verso il canale Dese, teatro dell’incidente che è costato la vita ad Anna Rita Panebianco. In laguna oltre 27 mila bricole, i nodi della manutenzione e dei materiali di realizzazione

«Sai come si pianta una bricola? I tre pali vengono battuti sul fondale diritti, paralleli, solo poi vengono inclinati e legati assieme sulla sommità, nella parte emersa, stretti con le fasce di ferro. Così la struttura è in tensione, e regge di più».
Viaggiare attraverso la laguna di Venezia significa correre sempre a ridosso di una fila di “paine”: possono essere a destra o a sinistra – raramente le si vede da entrambe le parti – l’importante è prenderle comunque dal lato indicato con la tessera bianca, che spicca in testa; significa mantenersi entro i confini di un canale, evitare il rischio di finire in secca.
La mezzaluna d’acqua compresa tra la terraferma e le bocche di porto non è un lago, non è navigabile a piacere, la laguna è una rete di canali più o meno percorribili, e spesso pure quelli segnati hanno una profondità a malapena accettabile, tanto che con la bassa marea le barche con un pescaggio più importante devono per forza ridimensionare le loro voglie, tenendo bene a mente che non possono spingersi ovunque; l’ecoscandaglio è il compagno di tantissimi diportisti, non solo di quelli che cercano le “buche” dove si nascondono i branzini, e quando i numeri sullo schermo cominciano a scendere sotto quota due è il momento di far lavorare il timone, rapidamente.
Più simili ai segni rossi e bianchi che nei boschi indicano i sentieri, le bricole non sono i guardrail della navigazione e chi impara a muoversi in queste acque lo fa, per prima cosa, tenendo lo sguardo fisso su di loro. Non è strano, insomma, che nel viaggio per raggiungere il punto esatto del canale Dese dove è morta Anna Rita Panebianco si finisca a parlare di pali ben prima di individuare la tripletta di legni di larice contro cui è finito l’open che portava la 56enne e i suoi due amici.

«Bisogna tenersi vicini, ma non troppo: se stai entro i tre o quattro metri all’esame per la patente nautica ti bocciano. O meglio, lo farebbero: in verità la prova pratica non prevede mai un tragitto, si limitano a farti fare le manovre di accosto e per il salvataggio di un uomo in mare». Ivan conduce il suo piccolo Boston Whaler con sicurezza: conosce bene il percorso che dall’isola di Torcello arriva fino alla darsena di Ca’ Noghera, la carena quasi piatta gli consente di invertire la rotta più volte mentre cerca i punti di riferimento che riconosce dalle foto aeree dei vigili del fuoco, ma anche lui deve prestare attenzione a non spingersi troppo vicino alla barena, a non toccare il fondale con il piede del motore; a restare sotto l’ombra delle bricole, appunto.
Il luogo dello schianto non è difficile da triangolare, seguendo la curva del canale, indovinando la prospettiva verso la casetta dei pescatori in lontananza, segnandosi le strettoie d’acqua tra gli isolotti emersi: venendo dalle isole, è l’ultima grande curva prima della terraferma, dove il filare di pali sterza a sinistra; più complicato capire quale delle due strutture che segnano la fine del rettilineo ha effettivamente ricevuto il colpo, visto che entrambe sono pesantemente danneggiate, raccontando la storia non di uno ma di tanti incidenti, più o meno gravi.
Il canale Dese ha un limite di velocità di cinque chilometri orari, ma lo si viene a sapere solo guardando le ordinanze: il cartello non c’è, al bivio del Silone ci sono solo le indicazioni per quest’ultimo e per il canale di Burano - sette e undici chilometri orari, rispettivamente. La segnaletica in chilometri, invece che in nodi, è un antico peccato a cui in laguna ormai tutti hanno fatto l’abitudine, piuttosto si chiede di moltiplicare la cartellonistica, anche a favore dei tantissimi che sfrecciano stringendo con il pugno la “manetta” di un fuoribordo e con l’unico obbligo di esporre una targa, la patente richiesta solo per i motori oltre i 40 cavalli.

Le bricole sono anche l’unico sostegno possibile per tutti i segnali e non è raro che sulla stessa se ne trovino due, uno rivolto in un senso e uno nell’altro, con indicazioni differenti.
E, sempre sugli stessi pali di larice, si discute da anni per trovare una soluzione che porti più luce tra i canali: tutte le barche devono essere dotate dell’illuminazione minima per evidenziare la loro stessa posizione nel buio delle notti in laguna, ma i piccoli fari che bastano a soddisfare questo requisito essenziale difficilmente servono a illuminare il percorso. Se seguire la linea delle “paine” è fondamentale per non finire a zappare con l’elica il fango di una secca, l’urgenza di lampadina è semplice da capire.
Nel trafficatissimo canale di Murano, che collega l’isola del vetro con le fondamente Nove, con Venezia, sopra alcuni pali spiccano proprio dei lampioni bianchi: pochi, non sempre funzionanti, rappresentano una delle possibilità tentate; quella più moderna, meno impattante e più economica, si vede invece lungo San Secondo, il canale che corre parallelo al ponte della Libertà: dischi a led, sulla testa della bricola, con un pannello solare per l’alimentazione. Ne sono stati installati tre, su un filare che supera i settanta elementi.
Ed ecco l’elefante nella stanza: le bricole, proprio in virtù del loro ruolo imprescindibile, sono migliaia, l’Autorità per la laguna ne conta oltre 27 mila; anche solo la manutenzione è un impegno ciclico, che inizia per non finire mai. Il legno marcisce, uno dei tre pali si spezza - di solito dove batte l’onda - la tensione viene a mancare e nel giro di poco l’intera struttura crolla, si inabissa, spedendo a galleggiare qualche frammento vagante, pericoloso ostacolo invisibile, e trasformando ciò che resta in una mina a pelo d’acqua (magari pure con un palo della luce a fare da rostro).
Mentre ne supera una che si allunga verso il canale, il Boston rallenta, preoccupato dall’onda sollevata da un barcone da trasporto - padrone della laguna, in un giorno di maltempo. «Sarebbe ora di decidersi a cambiare i materiali», il commento che accompagna la manovra controllata, «Se proprio si vuole mantenere il legno della tradizione, almeno inserire un’anima più resistente». Per 27 mila bricole, il pensiero della spesa complessiva fa sbarrare gli occhi, ma solo prima di pensare all’alternativa.
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