La rivoluzione delle donne parte dal cambiamento, le parole di Cathy La Torre: «Basta indignarci, ora tocca agire»

L’avvocata e attivista, ospite nella serata conclusiva del Fake News Festival a Udine, parla di parità di genere e lotta contro ogni forma di violenza: «Meno di 100 anni fa ci venne permesso di votare. Abbiamo fatto passi giganteschi e altri sono già all'orizzonte»

Viola Perissutti
Cathy La Torre
Cathy La Torre

«Non bisogna fermarsi all'indignazione, ma trasformare le cose». La rotta del cambiamento passa dall’azione del singolo secondo Cathy La Torre. Avvocata, attivista, punto di riferimento nella battaglia dei diritti civili, Cathy è seguitissima sui social. 

Sabato 16 al Teatro San Giorgio di Udine alle 20, nella cornice del Fake News Festival, sarà una delle quattro donne ospiti della serata conclusiva della kermesse. Lei, in un mondo in trasformazione, combatte da sempre contro una cultura patriarcale resistente al cambiamento. 

Nella bio di Instagram si definisce "metà umana e metà avvocata": c'è una parte prevalente?

«Fin da quando ho memoria ho sempre voluto fare l'avvocata, difendere le persone dalle ingiustizie. "Umana", invece, è per me sinonimo di attivista, io sono un'avvocata-attivista e un'attivista-avvocata. È la Costituzione a dircelo: l'avvocato ha una funzione sociale. Come Wild Side Legal (lo studio che ho fondato con Silvia Gorini), molti altri colleghi lottano ogni giorno per affermare diritti che altrimenti verrebbero negati».

Lei è una nota attivista. C'è stato un momento preciso, un evento particolare, che ha acceso in lei la voglia di difendere i diritti umani e la comunità LGBTQ+?

«Forse quando ho compreso di farne parte. Sono cresciuta in un paesino della Sicilia senza un cinema, una libreria, un negozio di musica. Ero un "maschiaccio", non mi sentivo né maschio né femmina. Poi, all'Università a Bologna, ho capito che mi piacevano le donne e che esisteva un'altra realtà in cui potevo vivere e sentirmi felice: sono stata la prima persona dichiaratamente omosessuale nella storia del mio paese. A 21 anni entrai al Mit (Movimento Identità Trans). Pensavo di voler cambiare sesso, da femmina a uomo, ma mi bocciarono: non ero abbastanza convinta. A distanza di anni posso confermare che avevano pienamente ragione. Rimasi lì, come attivista, e compresi quanto era importante difendere quella comunità e i suoi diritti: poi sono diventata la prima e unica vice presidente non trans del Mit. Non bisogna fermarsi all'indignazione, ma cambiare le cose».

Qual è la condizione attuale delle donne? Crede che la parità si raggiungerà a breve o sei pessimista?

«Direi che ci sono molti margini di miglioramento. Forse non userei il termine ‘a breve' ma sono convinta che il mondo stia procedendo verso quella direzione: le donne non sono più disposte ad accettare la privazione di diritti e opportunità che pesa su di noi da secoli. Ci rendiamo conto che le donne possono votare solo dal 1948? Non sono passati nemmeno 100 anni ma abbiamo fatto passi giganteschi e altri sono già all'orizzonte».

E sulle nuove generazioni? È fiduciosa nei confronti dei giovani?

«Tantissimo! Provengo da un paese siciliano e per me gli anni adolescenziali sono stati terribili, non mi sentivo capita da nessuno e questo mi faceva sentire strana, diversa. Se a 15 anni avessi avuto strumenti come Tik Tok e Instagram -luoghi in cui si parla liberamente di identità di genere- non avrei passato metà della mia vita a chiedermi chi sono. Giro l'Italia tenendo incontri nelle scuole e mi confronto costantemente con le nuove generazioni. Spero che presto prendano parte alla vita politica istituzionale, perché questo Paese può cambiare solo grazie al contributo delle nuove generazioni».

Qual è la cosa più difficile da trasmettere alle vecchie generazioni?

«Bisogna smontare la retorica del "ci sono cose più importanti": mentre si discute di cosa sia "importante" e non, il nostro Paese occupa sempre gli ultimi posti per libertà di stampa, per tasso di occupazione, per parità di genere. Una classifica in continua evoluzione negativa su cui tutti dovremmo riflettere».

Siamo al Fake News Festival, qual è la sua fake news preferita?

«Non ho dubbi: quando l'allora premier Silvio Berlusconi disse che Karima El Mahroug, nota come "Ruby!", era la nipote di Hosni Mubarak, il presidente egiziano»

Riproduzione riservata © il Nord Est