In trecento contro le SS: gli eroi di Tarvisio e quella prima notte di Resistenza
Decisero insieme di combattere. Morirono in 29, molti altri furono feriti, catturati e internati nei lager
L’8 settembre 1943 un reparto di Guardie alla frontiera (Gaf) al confine di Tarvisio rifiuta di arrendersi alle truppe tedesche che in risposta attaccano la caserma Italia. In assenza di disposizioni dai comandi superiori, gli ufficiali decidono in autonomia di resistere e combattere: “La nostra guerra comincia adesso” ordina il colonello Giovanni Jon, affiancato dal capitano, il padovano Bruno Michelotto.
La battaglia, asprissima, dura l’intera notte: trecento uomini scarsamente armati contro la schiacciante superiorità nemica. Nella giornata del 9, la resa. Sul campo restano 29 caduti italiani, alcune decine quelli tedeschi. I sopravvissuti saranno catturati e internati nei campi di prigionia in Germania e Polonia, senza mai aderire - per la stragrande maggioranza - al fascismo di Salò.
Il primo atto di Resistenza
La “battaglia di Tarvisio” è, almeno cronologicamente, il primo atto della Resistenza italiana contro l’occupazione tedesca in Italia. Episodio poco conosciuto, ha lasciato rare tracce nella storiografia della guerra di Liberazione. “Purtroppo nessuno ne ha mai parlato, perché eravamo avulsi dalla politica; agli storici non è mai importato nulla di noi, dei nostri morti, dei nostri feriti, dei nostri ideali” denuncia molti anni dopo un artigliere della Gaf, il Corpo incaricato di difendere i confini nazionali.
È una microstoria, di coraggio e determinazione, e di forte valore simbolico: per il contesto, per il carattere dei suoi protagonisti e per la sua implicita natura geo-politica. Sono le due facce dell’8 settembre. Da quasi due mesi, dopo la caduta del fascismo e l’arresto del duce, divisioni tedesche dilagano liberamente in Italia sull’onda di un doppio inganno. Hitler non si fida di Badoglio, gli italiani giurano fedeltà all’alleato nazista mentre trattano segretamente con gli anglo-americani. Quando tutto precipita e l’esercito si dissolve, i nostri soldati sono soli.
L’amico di colpo diventa nemico. Accade in un preciso momento, quando la radio trasmette l’annuncio dell’armistizio: è allora che un pugno di ufficiali della Guardia alla frontiera, abbandonati dai comandi, sceglie unanimemente l’opzione militare – sbarrare la strada al nemico tedesco – e non l’inerzia, seguito da tutti i soldati.
La battaglia di Tarvisio
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre, la caserma Italia di Tarvisio è il fortino che resiste per sei ore a un furibondo attacco di un reparto SS. I rinforzi richiesti non arriveranno mai. Il XIV Comando territoriale della Gaf - che ha la sede, priva di insegne militari, a palazzo Loredan, a Treviso – è evasivo, mentre il generale Licurgo Zannini del XXIV Corpo d’armata di Udine ha ordinato di non essere disturbato nel suo riposo. Esaurite le munizioni, i nostri soldati si arrenderanno con l’onore delle armi.
A guerra finita, arriveranno alcuni riconoscimenti, ma quasi in sordina
Uno di questi a Luigia Picech, prima donna italiana decorata con medaglia d’argento al valor militare. La notte della battaglia è al suo lavoro di centralinista nel posto telefonico pubblico, strumento chiave per i collegamenti con i comandi. È difeso da un nucleo di anti-paracadutisti, attaccati dai tedeschi. Ferita dallo scoppio di una granata, la “Gigia” risponde al fuoco con la pistola sottratta a un soldato caduto. Catturata, sfugge alla fucilazione e scompare nell’anonimato. Nessuno scriverà di lei.
Un monumento ricorda i 29 caduti italiani. Tra di loro i friulani Antonio Falcomer (Sequals), Antonio Francescut (Casarsa), Livio Merlo (Gemona), Ciro Pittin (Comeglians) ed Ettore Varnier (Caneva).
Tra i dieci morti veneti, i trevigiani Angelo Beccaro (Treviso), Alberto Guardafigo (Mansuè) e Tullio Rizzardo (Paderno del Grappa); i padovani Angelo Merlo (Bovolenta), Alessandro Pettenuzzo (San Giorgio in Bosco); il veneziano Plinio Pescarolo (Campomaggiore) oltre ai rodigini Augusto Crivellari, al veronese Adolfo Dal Forno e al vicentino Sergio Rizzetto.
La ricostruzione
Ora le vicende della “battaglia di Tarvisio” sono state ricostruite dal giornalista Tiziano Marson attraverso documenti ricavati dagli archivi militari, da diari e lettere, oltre a testimonianze recuperate dalle rare memorie delle famiglie. Fra essi, gli appunti di prigionia del capitano Bruno Michelotto di Padova, decorato di medaglia d’argento, ritrovati dopo la sua morte nel 2003.
Nella specifica situazione del confine orientale friulano viene così valorizzata la memoria di coloro – ufficiali e truppa - che l’8 settembre, nella dissoluzione delle catene di comando, hanno deciso di rimanere al proprio posto. Per responsabilità, per dovere, per la patria. E per una precisa scelta di campo: combattendo prima contro l’invasore tedesco e poi – per i sopravvissuti – rifiutando l’offerta di arruolamento con i nazisti, pur di fronte alla prospettiva del lager.
Ci vorranno alcuni decenni di rivisitazione storica per riconoscere agli Imi, gli internati militari italiani del disciolto regio esercito catturati dopo l’8 settembre, lo status di resistenti senza armi. Oggi a ricordarli resta una cerimonia annuale di commemorazione a Tarvisio, la prima settimana di settembre.
La ricerca di Tiziano Marson si intreccia con la storia di suo padre Cesare, una delle trecento guardie di frontiera che combatterono in quella notte contro i tedeschi; poi venne fatto prigioniero a condotto al campo di Fallingbostel e vi rimase fino alla liberazione degli inglesi il 16 aprile 1945. Come tanti reduci, non parlò della sua esperienza e solo il ritrovamento di alcune lettere ha consentito di ricostruirne la storia e di ottenere il riconoscimento dello Stato, la medaglia d’onore, che sarà consegnata a Treviso il 27 gennaio nel Giorno della Memoria. Della sua storia si parlerà mercoledì 29 a Pravisdomini, il suo paese di origine.
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