Interruzione volontaria di gravidanza, Nord Est esempio di prevenzione e tutela
I dati del 2022 mostrano una riduzione delle Interruzioni volontarie di gravidanza grazie alla contraccezione sicura. Veneto e FVG protagonisti, ma persistono disparità e necessità di potenziare i consultori
Il ministro della Salute ha pubblicato la relazione annuale sulla attuazione della legge sulla tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg – legge 194/78), riferita al 2022.
È un documento molto dettagliato, che da un quarantennio permette anche di comprendere le differenze fra le regioni Italiane.
Rispetto al 2021, le Ivg sono aumentate, tornando sui livelli pre-Covid: fra marzo 2020 e marzo 2021, le Ivg erano diminuite per effetto delle diverse misure di lockdown, che portarono alla diminuzione degli incontri fra partner non conviventi. In generale, tuttavia, l’Italia si staglia – nei confronti internazionali – per la spettacolare riduzione del ricorso all’Ivg.
La situazione in Italia
Oggi in Italia il numero di Ivg per donne in età fertile è un terzo rispetto alla Francia e al Regno Unito. Nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia nel 1987 vi furono – rispettivamente – 6,9 e 12,9 Ivg ogni mille donne in età fertile, mentre nel 2022 ce ne sono state 4,5 e 5,4.
Se il confronto è limitato alle sole donne italiane, la riduzione è ancora più drastica, perché nel 2022 le Ivg per mille donne italiane in età fertile sono state solo 3,4 in Veneto e 4,3 in Fvg (nel 1987 di donne straniere in pratica non ce n’erano).
Meno positiva è la situazione per le straniere, per cui nel 2022 si osservano in Veneto e in Fvg 10,4 e 12,0 Ivg per mille donne residenti in età fertile, anche se questo dato potrebbe essere un po’ sovrastimato.
Nel contempo, Istat stima che le Ivg illegali siano in tutta Italia poco più di diecimila l’anno.
La causa principale di un declino così accentuato è stata la diffusione della contraccezione sicura. Nel 1978 solo il 33% delle donne sessualmente attive utilizzava contraccettivi efficaci (in particolare pillola, spirale e preservativo), mentre oggi sono quasi l’80%.
Nel corso dell’ultimo anno sono state vendute in Italia 700 mila “pillole del giorno dopo o dei cinque giorni dopo”, alcune delle quali sono acquistabili senza ricetta anche da minorenni.
Gli aborti sono stati contenuti anche dall’attività di consultori pubblici e di volontariato che incontrano le donne incinte, creando le condizioni per portare a termine la gravidanza.
Nel corso del 2017, i 350 Centri di aiuto alla vita (Cav) operanti in Italia sono stati contattati da 35 mila donne e hanno accompagnato alla nascita ottomila bimbi.
Nel 2016, nei 1.600 consultori pubblici, su 58 mila colloqui pre-Ivg, i certificati in effetti rilasciati sono stati 38 mila: parte di questa differenza è probabilmente dovuta ad azioni per aiutare la donna «a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza», come dice la legge 194.
Altre ventimila donne sono poi tornate al consultorio dopo l’Ivg, e anche questa può essere stata l’occasione per una consulenza contraccettiva. Nel 2022 le Ivg in Italia con almeno una Ivg precedente sono state il 23%, trent’anni fa erano quasi il 30%.
I dati a Nord Est
Come previsto dalla legge 194, vi sono esperienze decennali in cui i Cav operano all’interno delle cliniche che praticano Ivg. Il caso più eclatante è la clinica pubblica Mangiagalli di Milano, dove si praticano un gran numero di Ivg, ma dove le donne e le coppie dubbiose e in difficoltà vengono indirizzate nel Cav presente nella stessa struttura, perché i ginecologi non obiettori sono i primi a essere soddisfatti se una donna decide di portare a termine una gravidanza.
L’attività di prevenzione all’Ivg di Cav e consultori pubblici e privati andrebbe sostenuta. Oggi nel Veneto e in Fvg i consultori pubblici sono 1,5 e 1,7 ogni mille donne in età fertile, ossia nella media nazionale, ma nel tempo sono diminuiti, e sono molti di meno rispetto a regioni come l’Emilia-Romagna (3,1), la Toscana (2,1). Andrebbero incrementati e irrobustiti.
I dati della relazione del ministro raccontano molto altro sulle Ivg in Veneto e Fvg. Innanzitutto, la proporzione di ginecologi obiettori è più alta in Veneto (65%) rispetto al Fvg (47%) e alla media nazionale (61%).
Tuttavia, l’accesso all’Ivg anche in Veneto è garantito in modo capillare, perché il 91% delle Ivg viene effettuato nella stessa provincia di residenza della donna (90% in Fvg e 86% in Italia).
Del resto, il calo verticale del numero di Ivg, nel corso del quarantennio 1982-2022 ha ridotto a un terzo il carico di interventi di Ivg per ogni ginecologo non obiettore.
Piuttosto, il Veneto si contraddistingue per tempi di attesa relativamente elevati fra rilascio del certificato all’Ivg (a opera del medico di base o del consultorio) e intervento: in Veneto solo il 55% viene effettuato entro due settimane dal rilascio del certificato, contro l’80% del Fvg e il 78% della media nazionale.
Ciò non accade tuttavia a causa dell’alta quota di ginecologi obiettori, ma – verosimilmente – perché in Veneto è relativamente poco utilizzato l’aborto farmacologico, che richiede minori tempi di attesa: 42% in Veneto, 60% in Fvg e 52% in Italia.
D’altro canto, l’aborto farmacologico non è esente da rischi. Nelle regioni dove è più praticato, sono anche più diffuse le complicanze post aborto: gli aborti mancati o incompleti e/o le emorragie si verificano nello 0,4% dei casi nel Veneto e nel 3,8% dei casi in Emilia-Romagna, dove il 70% delle Ivg sono farmacologiche.
Quali prospettive dunque?
La storia della Ivg legale in Italia è una storia di successo. Negli anni ’80 le Ivg erano lo stesso numero della Francia, oggi sono un terzo rispetto a quelle praticate dalle cugine d’Oltralpe. A questo grande risultato hanno contribuito due intuizioni di fondo della legge 194.
La prima è stata far uscire l’Ivg dal segreto di famiglie e coppie, creando le condizioni per ridurre la solitudine davanti alla scelta, grazie al contatto obbligato – per accedere all’Ivg legale – con medici di famiglia, consultori e reparti ospedalieri.
La seconda è stata dare dignità all’opera silenziosa di operatori, per lo più volontari, che hanno accostato molte donne aiutandole a portare a termine la gravidanza.
Per ridurre ulteriormente le Ivg è importante proseguire così, aumentando i consultori e proseguendo nell’alleanza fra pubblico, privato accreditato e terzo settore.
Andrebbe anche incrementata l’educazione alla procreazione responsabile, specialmente per le categorie più esposte al rischio di gravidanze indesiderate: stranieri, persone meno istruite, coppie con un più figli, oltre naturalmente ai giovani uomini e alle giovani donne.
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