Il caso della coppia gay bloccata 40 giorni in Argentina, dopo la maternità surrogata
Fine dell’odissea per due padovani. Decisivo l’avvocato Paniz che ha attivato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. I papà: «Abbiamo temuto di dover abbandonare nostra figlia»
Fine dell’odissea per la coppia di padovani fermata circa un mese e mezzo fa all’aeroporto di Buenos Aires con una neonata avuta attraverso la gestazione per altri.
Dopo 40 giorni di semi detenzione in un appartamento, osservati a distanza da agenti che ne controllavano i movimenti, Fabio Busato e Gaetano D’Alessandro sono rientrati in Italia.
E sono rientrati con la loro bambina, che per un soffio ha schivato l’orfanotrofio.
L’autorità giudiziaria argentina ha accolto l’istanza presentata dal loro legale argentino, d’intesa con l’avvocato Maurizio Paniz, che ha seguito la coppia nel delicato e articolato percorso giudiziale.
«Ho chiesto una mano ad Antonio Tajani ed è andata bene, perché siamo stati supportati dall’Ambasciata e dal Consolato italiani», conferma Paniz.
«Fabio e Gaetano sono i primi e gli unici ad essere stati autorizzati a fare rientro nel loro Paese. Chiaramente siamo soddisfatti ora. Si erano semplicemente trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato».
Venerdì 25 ottobre i due, che stanno insieme da una decina d’anni, erano stati fermati dopo un paio di tentativi di tornare in patria.
Il primo risalente a mercoledì della settimana prima, quando la madre della bambina si era presentata allo scalo cittadino di Buenos Aires, Aeroparque, con Busato, dicendo di volerlo autorizzare a viaggiare da solo con la loro bimba.
Già allora le autorità di Migrazione avevano notato che la donna aveva un atteggiamento molto distaccato dalla piccola e che c’era una notevole disparità socio-economica rispetto all’uomo che si presentava come suo compagno.
La coppia, in quel caso, si era allontanata senza completare la pratica. I due ci avevano però riprovato il giorno successivo, all’hub di Ezeiza.
I documenti erano in regola, perché entrambi erano indicati come genitori della piccola, ma agli agenti era saltato all’occhio che la donna viveva a Rosario mentre il presunto compagno italiano in Argentina c’era andato solo una volta, nell’agosto 2023.
Un dettaglio che chiaramente escludeva la possibilità di un concepimento naturale. A quel punto è intervenuta la polizia federale, che già stava conducendo un’indagine sulle maternità surrogate.
Ed è il motivo per cui Busato e D’Alessandro si sono trovati sul posto sbagliato al momento sbagliato. In Argentina la gestazione per altri non è disciplinata da alcuna legge, motivo per cui ci sarebbero organizzazioni che speculano su questo, lucrando su donne indigenti.
«I miei assistiti, persone perbene, sono finiti in questo calderone», evidenzia Paniz. «Ma la realtà era ben differente».
I due fidanzati, di professione medico e infermiere, sono stati quindi condotti in caserma e poi costretti a soggiornare tra appartamenti presi con affitti brevi e b&b, in attesa di sapere qualcosa del loro destino. Gli sono stati sequestrati i telefonini e anche il pc.
Decisiva è stata l’intuizione di Mara Busato, sorella di Fabio, che fa la vicesindaca a Campodoro in quota Lega e che ha pensato subito all’avvocato Maurizio Paniz come l’unica persona che poteva risolvere un caso internazionale così intricato.
«Fabio e Gaetano si sono trovati a Buenos Aires nel momento in cui l’autorità giudiziaria argentina ha deciso di avviare un’indagine penale per traffico di minori e truffa nei confronti delle donne deboli», dice Paniz. «Da quel momento in poi tutte le coppie che si trovavano in Argentina per quel motivo sono state fermate. Gli unici a uscirne, finora, sono stati loro due».
Sembra addirittura che alcune coppie francesi abbiano deciso di scappare attraversando il confine con l’Uruguay e il Cile, per poi cercare di fare rientro nel loro Paese.
«Ma stanno rischiando moltissimo, perché potrebbe essere emesso mandato di cattura internazionale», specifica Paniz.
Dal punto di vista professionale Paniz si è mosso su più fronti. Subito ha consigliato la coppia di cambiare i legali argentini che avevano avuto fino a quel momento.
Erano gli avvocati dell’agenzia che seguiva la maternità surrogata ma erano, nel contempo, loro stessi indagati nell’ambito dell’inchiesta. Paniz si è quindi messo in contatto con un collega argentino, un principe del foro.
Contestualmente ha contattato sia il ministro Antonio Tajani, sia l’ex sottosegretario Ricardo Merlo, eletto in Argentina e per questo molto conosciuto.
«Così ci siamo assicurati un canale comunicativo molto efficace con Ambasciata e Consolato», ammette Paniz. «In virtù del mio percorso professionale ho molte conoscenze e le ho sfruttate».
Primo obiettivo di Paniz: dissociare la posizione della coppia veneta da quella di tutti gli altri.
«Ho dimostrato che loro, semmai, erano vittime e non coprotagonisti. Siamo stato puntuali e corretti, abbiamo presentato tutta la documentazione che ci hanno chiesto. E alla fine abbiamo avuto ragione».
I due sono riusciti ad evitare anche la cauzione in cambio della promessa scritta che, in caso di bisogno, torneranno a testimoniare a fini d’indagine.
«Mai l’autorità argentina ha affidato un figlio a due papà», evidenzia Paniz. Ma adesso? Ora i due, residenti a Saccolongo, potranno decidere se chiederne l’iscrizione all’anagrafe di quel Comune. Oppure se fare richiesta di adozione. Stanno valutando la soluzione migliore.
«Ma se chiederanno l’iscrizione all’anagrafe sono pronto a supportarli, come ho fatto con le mamme di Mel», conclude Paniz.
E con la nuova legge sul reato universale? «Non ci riguarda, la bambina è nata il 10 ottobre, quando la legge non c’era ancora».
I due papà: «Abbiamo temuto di dover abbandonare nostra figlia»
«Ora sorridiamo, ma per 40 giorni l’abbiamo perso per davvero. È stato un incubo, una sofferenza intima e profonda».
Fabio Busato, primario di Radiologia alla Casa di Cura di Abano e Gaetano D’Alessandro, infermiere, incrociano gli sguardi consapevoli di ciò che hanno vissuto. A un certo punto hanno temuto che l’unica prospettiva possibile per tornare fosse quella di lasciare la loro bambina in un orfanotrofio.
«Un incubo, appunto. Ma ora siamo qua e passeremo un bel Natale, tutti insieme», dicono, finalmente sereni.
Fortunatamente è una storia a lieto fine. Tuttavia, c’è chi contesta la vostre scelta di fare questo percorso di gestazione per altri in un Paese in cui non è ancora normata. Come rispondete a queste accuse?
«Ci sentivamo più vicini alla forma altruistica della gestazione per altri, nella quale la gestante non viene pagata. Vengono riconosciuti solo i rimborsi spesa per il trattamento medico. Siamo medico e infermiere, volevamo queste condizioni. Nella Gpa commerciale, invece, viene riconosciuto un vero salario».
Però affidarsi alla Gpa commerciale fornisce garanzie anche sulle condizioni delle donne coinvolte, sul rispetto dei loro diritti.
«La gestazione altruistica come quella commerciale, possono essere fatte bene o male ma dipende da supporto normativo. Ci sono Paesi in cui la legge è regolamentata e altri in cui no. In Argentina non c’è una legge ma sapevamo che nel 2017 ci sono state sentenze favorevoli a riguardo. Noi abbiamo firmato contratti con legali e notai prima di cominciare il percorso».
E questo cosa sta a significare?
«Che era tutto pubblico e legale. Non c’è una legge ma nella città di Buenos Aires c’era un regolamentazione e noi abbiamo seguito il percorso alla lettera. Poi, durante la gravidanza, sono successe tante cose. E le condizioni sono cambiate in corsa».
Era la prima volta che tentavate questo percorso?
«Avevamo iniziato in Canada nel 2019 ma il percorso si è protratto troppo a lungo e il Covid ha rallentato tutto. Quindi abbiamo deciso di cambiare Paese. Ci simo informati sui vari paesi e abbiamo valutato molte opzioni. Alcuni li abbiamo esclusi proprio perché non eravamo convinti della condizione delle donne a livello etico. Abbiamo scelto l’Argentina perché, appunto, dal 2017 consentiva il riconoscimento di due papà».
Dunque come avete avviato la procedura?
«Abbiamo iniziato il percorso di creazione degli embrioni in Argentina, dopo aver preso accorti con i legali dell’agenzia. Ci hanno descritto la situazione dal punto di vista giuridico e ci hanno messi in contatto con la clinica».
E poi?
«Una donna ha donato l’ovocita e la gestante ha portato nel ventre l’embrione. A noi interessava instaurare un rapporto d’amicizia con lei e infatti così abbiamo fatto. Ci siamo sempre sentiti, lei ci scriveva puntualmente, un’amicizia è nata davvero. Lei ha 29 anni ed è già madre di una figlia».
Nei giornali argentini hanno scritto che si tratta di una donna che vive in condizioni sociali precarie, oltre che in uno stato di indigenza.
«È stata fatta una valutazione psicologica e anche una medica. Ci sentiamo di smentire queste ricostruzioni. Abbiamo sempre fatto tutto alla luce del sole, firmando pratiche e certificando i rimborsi spese per test genetico, ginecologo, trasporti in clinica, ecografie, farmaci e anestesista per il cesareo. La nostra bambina è nata il 10 ottobre».
Sempre i media argentini parlavano di valigette di denaro scambiate in un bar di Rosario.
«Tutto falso. Nei telefoni sequestrati c’erano tutte le conversazioni con la gestante, c’erano le mail, il giudice ha tutto. Nessuna valigetta e nessun contatto avvenuto attraverso gruppi Facebook. Dopo un paio di settimane sempre la gestante ha firmato un atto in cui certificava di non voler essere la madre, e che si trattava di un caso di gestazione per altri».
E sui tentativi fatti in aeroporto per lasciare l’Argentina?
«Noi ci siamo messi in contatto con l’ufficio immigrazione, non abbiamo fatto niente di clandestino. Prima ci siamo presentati con la firma della gestante, poi abbiamo chiesto aiuto ai legali dell’agenzia e ci hanno detto di provare a imbarcarci con lei. Ma erano tre giorni che aspettavamo una risposta. A quel punto siamo stati fermati».
Come sono stati quei 40 giorni chiusi in un appartamento in attesa di sapere il vostro destino?
«Sono stati molto difficili, ci dispiaceva tantissimo soprattutto per nostra figlia. Abbiamo una famiglia molto numerosa e soprattutto molto rumorosa. Ci dispiaceva che non potesse sentire quel rumore, il calore familiare che meritava».
Com’è stato occuparsi di questa neonata senza nessun aiuto?
«Entrambi siamo abituati a svegliarci di notte (ridono). Ora abbiamo tutto da imparare ma genitori non si diventa nel momento in cui nasce il figlio, genitori si diventa quando si comincia a pensare alla genitorialità. È un percorso di consapevolezza e così è stato anche per noi».
Com’è stato il ritorno al lavoro?
Risponde Fabio: «Io sono tornato stamattina ed è stata una festa. Sono venuti da tutti i reparti a salutarmi e ad abbracciarmi. Sono stato assente 40 giorni ma ho ricevuto tanto supporto, in ogni momento. E alla fine ho sforato solo per una settimana di ferie. Gaetano invece inizia lunedì. Entrambi vogliamo ringraziare i nostri datori di lavoro, che hanno compreso la situazione fin da subito. Finalmente ora siamo tutti insieme, e al posto giusto».
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