L’avvocato che difendeva i lavori di Toscani: «Mi chiamava e diceva: “Adesso si prepari”»
Gli aneddoti di Fabio Moretti, per undici anni a capo dell’ufficio legale di Benetton: «Toscani aveva il gusto della trasgressione. Era un fotografo attivista, un uomo di grandissimo spessore etico»
Di Oliviero Toscani si ricordano le fotografie provocatorie, irruenti, e innovative. E anche le cause giudiziarie che le hanno viste protagoniste. «Ho lavorato per 11 anni al gruppo Benetton, ero a capo dell’ufficio legale. Quindi ho avuto rapporti molto intensi con Oliviero Toscani e le sue campagne», racconta Fabio Moretti, l’avvocato che ha lavorato a lungo con il fotografo e con Luciano Benetton, difendendo le loro pubblicità.
Ci racconta qualcuno dei casi più emblematici?
«Ce ne sono stati tanti. Alcuni anche molto difficili, che mi hanno richiesto anche impegno a livello emotivo. Ad esempio, quella famosa del malato di Aids, che generò reazioni fortissime. Ma altri sono stati piuttosto divertenti: lui era una persona estremamente simpatica, gli piaceva molto il gusto della trasgressione, voleva essere provocatorio. Lo faceva in un modo irruento e al tempo stesso divertente».
Quando gli veniva l’idea per una campagna, veniva da voi a chiedervi se avrebbe creato problemi? O tirava dritto per la sua strada?
«Aveva tantissime idee. Insieme a Luciano Benetton è stato un grande genio, e queste idee le mettevano in pratica. Quando stava per uscire una campagna mi chiamava e mi diceva: “Avvocato, la faremo dannare. Si prepari”».
Quindi la avvertiva per dirle che avrebbe avuto tanto lavoro…
«Le racconto un altro episodio. Una volta mi trovavo a Parigi e lui mi chiamò. E mi chiese: “Avvocato, secondo lei ci sarebbero problemi se ricoprissimo l’obelisco in Place de la Concorde con un gigantesco condom?”. Io gli dissi che certamente poteva creare problemi e di darmi un paio di giorni per capire di che tipo. Lui però mi rispose: “Non c’è tempo, lo stanno già installando”. Però anche in quel caso era un modo per parlare di un tema importante, quello dell’Aids. Aveva un modo rivoluzionario di raccontare il mondo, con le sue pubblicità poneva temi sociali importanti. Alcune di queste sono rimaste nella memoria collettiva. E poi sapeva che io poi mi appassionavo».
Prima parlava di cause anche difficili per lei a livello emotivo. Ad esempio?
«Sempre per la campagna sull’Aids, l’immagine del malato, in un momento in cui non c’erano ancora cure. A protestare furono anche le associazioni di malati e confesso che questo per me fu un elemento molto pesante. E anche per i giudici. Alla fine sostennero che quell’immagine, pur riuscendo a creare consapevolezza sul tema, era problematica in quanto si trattava di una pubblicità. Questa è una questione che ancora oggi non è stata completamente risolta».
C’è qualche altro caso che le è rimasto particolarmente impresso?
«Moltissimi, è stato un periodo decisamente movimentato per me. Ogni volta che si pubblicava una campagna pubblicitaria arrivavano i problemi, non ci annoiavamo. Un’immagine molto bella – che non avrebbe dovuto causare lo scandalo che ha provocato – era quella di una donna nera che allattava un bambino bianco. Quella è un’immagine che anche oggi potrebbe essere molto attuale».
Anche questa ha innescato un caso giudiziario?
«Anche questa, sì. Non in Italia, ma comunque ci sono stati dei risvolti giudiziari in altri Paesi. Ed è stato così per tante altre: ogni volta che c’era una campagna pubblicitaria nuova io e i miei colleghi ci guardavamo negli occhi e ci mettevamo l’elmetto, pronti a difendere lui e Benetton».
Lui come reagiva quando arrivavano le sentenze?
«Lui andava avanti. E la campagna successiva la faceva ancora più provocatoria. Se guardiamo oggi alle sue immagini lo si vede chiaramente, è stata un’escalation. Ma centrava sempre l’obiettivo, cioè che si parlasse del tema che voleva trattare. E poi che si facesse conoscere il marchio Benetton».
Quando ha lasciato il gruppo come vi siete salutati?
«All’epoca ero molto giovane. Quando me ne andai dal gruppo Benetton, per entrare in quello di Giorgio Armani, Toscani mi chiamò e mi disse di avere molta simpatia nei miei confronti e mi chiese se potesse scattarmi un ritratto. Era una persona molto umana, sono stato molto fortunato a poter lavorare con lui».
Qual è un ricordo di Toscani di cui non si parla abbastanza?
«L’impegno per i diritti umani. Il fotografo attivista oltre che pubblicitario. Era un uomo di grande spessore etico».
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