La scure dei tagli sulle università del Nord Est: dodici milioni in meno

Tra Trieste, Udine, Venezia e Verona deciso un taglio netto dal fondo ordinario relativo al 2024, Padova è tra le sei che non subirà la stretta ma rinuncerà a 10 milioni tra mancati riconoscimenti e nuove spese

Laura Berlinghieri
Studenti in attesa all’Università di Udine in un recente recruting day
Studenti in attesa all’Università di Udine in un recente recruting day

Per l’Università di Udine, la sforbiciata rispetto al 2023 è stata pari a 1,5 milioni di euro, e di 3 milioni per Trieste. L’ateneo di Verona, poi, dovrà fare i conti con mancati introiti per oltre 3,5 milioni di euro. Poco meno di 3 milioni in meno per l’Università Ca’ Foscari e un taglio da quasi un milione di euro per l’altro ateneo veneziano, lo Iuav.

Il totale, quindi, è di un taglio netto da 12 milioni di euro al fondo di finanziamento ordinario erogato per il 2024 alle Università del Nord Est.

Ma non c’è soltanto questo, perché gli atenei dovranno fare i conti anche con le risorse attese e non erogate. E allora l’emorragia aumenta: per lo Iuav, ad esempio, il taglio reale ammonta a 2,3 milioni di euro. Mentre l’Università di Padova è una delle sei in Italia che non subirà la stretta, grazie a performance, che, in “tempi di pace”, le avrebbero piuttosto garantito un premio economico, che però non le sarà erogato. E quindi, tra mancati riconoscimenti economici (attesi) e nuove spese in carico all’ateneo, la stima è comunque di una rinuncia pari ad almeno 16 milioni di euro.

La scure dei tagli si abbatte sulle Università italiane, e del Nord Est, costringendo i rettori prima a una spending review. Ma poi, se questa non dovesse bastare o la politica della “sforbiciata” dovesse essere perpetuata anche nei prossimi anni, allora anche le decisioni dovranno essere più drastiche: meno corsi, meno ricerca, meno dottorati, oppure tasse più elevate sulle spalle degli studenti.

Gli altri elementi della tempesta perfetta sono i sacrosanti aumenti stipendiali per docenti e personale amministrativo, totalmente in carico alle Università, che dovranno farvi fronte nonostante finanziamenti statali in picchiata. E poi il blocco del turnover oltre il 75% – regola valida per tutta la pubblica amministrazione, ma estesa anche agli atenei – con l’obbligo, per le Università, di restituire al Ministero, entro l’aprile prossimo, le risorse risparmiate grazie ai pensionamenti del 2024.

«La segretaria dem Elly Schlein ha parlato di tagli alle Università per 280 milioni di euro. Il Pd, in Senato, ha citato tagli per 800 milioni. Mentre a luglio la Conferenza dei rettori parlava di 500 milioni in meno», il commento più recente di Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca, pronta a bollare ciascuna quantificazione come «mistificazione», per aggiungere: «Il Fondo di finanziamento ordinario del 2025 sarà più alto rispetto a quello del 2023, quando si toccò un livello record. E a questo bisognerà aggiungere 1,2 miliardi di euro del bando housing Pnrr, 880 milioni per le borse di studio e 665 milioni per la legge 338, che finanzia la residenzialità universitaria attraverso fondi degli atenei».

Ma intanto il fondo di finanziamento ordinario del 2024, che sarà inserito nella prossima manovra di bilancio, in discussione a breve in Parlamento, subirà una decurtazione complessiva pari a 173 milioni di euro. E rischia rivelarsi una autentica mannaia per gli atenei italiani, per i quali le risorse in arrivo da Roma rappresentano circa tre quarti del bilancio. Il rimanente quarto è rappresentato dalle tasse universitarie, che, se la stagione dei tagli dovesse continuare o se comunque le erogazioni dovessero attestarsi su queste cifre anche nei prossimi anni, allora dovranno giocoforza essere aumentate.

Le ragioni dei tagli alle Università si leggono nell’ambito dei “sacrifici” chiesti genericamente dal governo a più attori, a partire dalle amministrazioni locali. Ma destinatarie sono state pure le Università, che nel 2023 post Covid avevano beneficiato di risorse extra, per assunzioni straordinarie e l’attivazione di nuovi corsi: iniziative virtuose, per cercare di uscire dalle sabbie mobili della pandemia.

Adesso è tutto da rifare. Non solo quelle risorse straordinarie non sono più state erogate, ma da quest’anno si farà un passo indietro pure rispetto al passato. Circostanza che fa commentare qualche rettore, a denti stretti: «A questo punto, forse sarebbe stato meglio non avere risorse in più, ma mantenerci comunque sullo stesso standard di erogazioni».

Perché la benzina per lo sprint si è certamente esaurita, ma anche l’ordinario adesso è a rischio.

Detta ancora più prosaicamente, la coperta è corta e qualcosa dovrà pur rimanere fuori: sarà la ricerca, saranno le borse per i dottorandi o saranno i nuovi corsi attivati negli ultimi anni. E quindi l’insieme dell’offerta formativa che, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, attualmente attira 148 mila studenti universitari rischia di essere destinato a frantumarsi. Alternative? Solo una: aumentare le tasse. Ipotesi che gli atenei vorrebbero scongiurare; ma per farlo, è evidente, c’è bisogno dell’aiuto del governo.

Il rettore di Udine: «Risorse o sarà dura»

Meno corsi, meno ricerca, meno borse per i dottorati. Oppure tasse più elevate. Tertium non datur, per le Università del Nord Est, costrette a fronteggiare i tagli disposti da Roma al fondo di finanziamento ordinario del 2024.

«Tagli che si aggiungono alla mancata erogazione delle risorse straordinarie, che ci erano state riconosciute dopo la pandemia – ricorda Roberto Pinton, rettore dell’Università di Udine – Per quanto ci riguarda, per l’anno prossimo riusciremo a farvi fronte. Ma, già da quello successivo, ci attendiamo nuovi finanziamenti, altrimenti sarà dura».

Gli atenei hanno già «tagliato il tagliabile». A Trieste, ad esempio, per chiudere il bilancio in pareggio sono stati utilizzati i 3 milioni di euro dal bilancio dell’esercizio precedente. Ma è chiaramente una mossa che non potrà essere ripetuta. «La ministra Bernini ha detto che il finanziamento per il 2025 sarà superiore a quello del 2023, ma non è il dato a nostra disposizione oggi», fa presente il rettore Roberto Di Lenarda, «Per l’anno prossimo abbiamo mantenuto il numero di borse di dottorato e il sostegno agli studenti, con la “no tax area”, uguali al 2024. Abbiamo risparmiato il più possibile, rispetto agli ambiti di spesa. Ma oltre non si può andare. La Regione si è detta pronta ad aiutarci, ma il sistema è sotto stress. Ogni anno, spendiamo tra i 60 e i 70 milioni di euro per il personale, nei prossimi anni molti ricercatori con contratti a termine diventeranno professori associati, sono in programma tanti aumenti stipendiali. Ma se l’entità del fondo diminuisce, le alternative non sono molte: bisognerà agire sulle tasse o tagliare i corsi che abbiamo attivato, dieci nei soli ultimi cinque anni».

Mentre, allo Iuav di Benno Albrecht, i tagli da 2,3 milioni di euro rischiano di riverberarsi sulla ricerca. «Sì, le ripercussioni più forti si avranno nell’ambito delle attività di ricerca finanziate dall’ateneo e dei servizi interni, che non potranno garantire i target programmati, se non verrà trovata adeguata compensazione economica» fanno presente dall’Università, «Saranno messe in campo misure straordinarie, a partire dagli overhead: costi normalmente lasciati a disposizione dei progetti stessi, ma che dall’anno prossimo verranno in parte acquisiti dall’ateneo, per coprire le spese generali. Spazi e attività saranno ulteriormente razionalizzati. Non ci saranno aumenti delle rette, ma a tutte le componenti della comunità Iuav – accademica e tecnico-amministrativa-bibliotecaria – saranno chiesti un impegno e uno sforzo supplementare».

L’obiettivo dichiarato è quello di migliorare le performance, così da non essere colpiti da ulteriori tagli, con la prossima manovra di bilancio. Riuscendo di fatto a trovarsi nella stessa situazione dell’Università di Padova, guidata da Daniela Mapelli, tra le sei in Italia a non avere subito tagli, almeno formalmente: 363 milioni di fondi erano nel 2023 e altrettanti sono nel 2024. Senza, però, quel milione e mezzo di risorse aggiuntive, che sarebbero spettate all’ateneo grazie alle ottime performance.

Con l’obbligo di restituire i soldi risparmiati con i pensionamenti del 2024 rimasti orfani di un avvicendamento. Con le risorse in più – tutte a carico dell’ateneo – per gli aumenti di stipendio. E senza i fondi straordinari riconosciuti nel 2023 per i reclutamenti. Il totale, allora, è di almeno 16 milioni di euro che l’Università di Padova contava di ricevere da Roma e che invece sarà costretta a tirar fuori di tasca propria.

Per non parlare degli atenei che questo taglio lo hanno subito in maniera diretta, come Verona. «Quest’anno, il fondo di finanziamento ordinario destinato all’Università corrisponde a 113 milioni di euro. Nel 2023, ne avevamo ricevuti 116. Significa che il decremento è di oltre 3,5 milioni, pari a un –3,08% dello stanziamento» spiegano dall’ateneo retto da Pier Francesco Nocini.

E quindi la preoccupazione è tanta, in tutta la comunità universitaria italiana. Si è mobilitata la Crui (la Conferenza dei rettori delle Università italiane), i presidenti di 73 società scientifiche hanno scritto una lettera indirizzata al governo.

È una preoccupazione che va oltre la politica, come va oltre i confini delle regioni. «Perché questi elementi di discontinuità, forti e improvvisi, rischiano di ostacolare la progettualità strategica degli atenei e i servizi che dobbiamo garantire alla comunità universitaria – dice, ad esempio, Tiziana Lippiello, rettrice di Ca’ Foscari – e noi stiamo lavorando intensamente e in maniera condivisa con gli organi di indirizzo dell’ateneo per mantenere gli equilibri di bilancio e continuare a supportare diritto allo studio, ricerca e investimenti in servizi». In attesa delle risorse.

 

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