Il giallo dei velisti dispersi nell’Atlantico: il caso Bright e l’indagine che non deve essere chiusa
Tra misteri e depistaggi, colpi di scena e lunghi silenzi, dopo 6 anni e cinque mesi non c’è ancora una soluzione al giallo della scomparsa della barca a vela “Bright” in pieno oceano Atlantico, al largo delle Isole Azzorre
Tra misteri e depistaggi, colpi di scena e lunghi silenzi, dopo 6 anni e cinque mesi non c’è ancora una soluzione al giallo della scomparsa della barca a vela “Bright” in pieno oceano Atlantico, al largo delle Isole Azzorre. A bordo c’erano il marinaio di Bovolenta (Padova) Antonio Voinea e lo skipper spezzino Aldo Revello. Scomparsi nel nulla, insieme all’imbarcazione, della quale sono stati recuperati appena due salvagenti e una tanica per carburante: troppo poco per dire che ne è stato del “Bright” e dell’equipaggio.
A poco hanno condotto anche le indagini in questi anni, al punto che la Procura di Roma stava per archiviare il caso quando sono emersi nuovi elementi, raccolti da investigatori privati ingaggiati dai familiari di Antonio Voinea che con tenacia e non poco dolore sono ancora alla ricerca della verità. Nei giorni scorsi, di fronte all’opposizione alla chiusura del fascicolo presentata dall’avvocato spezzino Aldo Niccolini, legale dei Voinea, il Tribunale di Roma ha concesso altri 6 mesi alle indagini. Basteranno per fare luce su un mistero irrisolto da 77 mesi?
Due maggio 2018, la scomparsa del Bright
Nella primavera 2018 il marinaio 31 enne Antonio Voinea, che dal padovano si era trasferito in Liguria per seguire la sua grande passione per il mare, affrontò la traversata dell’oceano Atlantico a bordo della barca a vela da 14 metri “Bright” in compagnia dello skipper spezzino Aldo Revello, 53 anni, fama da lupo di mare. I due partirono il 7 aprile dal porto di Martinica, in direzione La Spezia. Un’impresa da sogno, che finalmente si realizzata e che Antonio documentò fino al 28 aprile scorso, con foto e testimonianze.
«Ciao Azzorre, bello avervi visto, ciao Horta, alla via verso il Mediterraneo, saluti a tutti», si legge nel suo ultimo post su Facebook. Proprio alle Azzorre scese dal “Bright” l’unico passeggero che aveva affrontato la traversata con loro, un italiano di cui si è saputo sempre molto poco, mai sentito nel corso delle indagini. La barca riparte in direzione dello stretto di Gibilterra, ormai la meta è portata di mano.
Si attiva il radiofaro
Invece il 2 maggio cambia tutto. Sono le 13.48, il meteo è buono, l’onda è lunga, c’è un bel vento, di 15-20 nodi, la barca procede spedita. Tutto va per il meglio, finché si attiva l’Epirb (acronimo di Emergency Position Indicating Radio Beacons) di bordo. E’ un trasmettitore di soccorso delle dimensioni di un telefonino, un radiofaro che emette segnali sulle frequenze di emergenza captati dalla rete di satelliti in orbita, cui è agganciato il sistema per le operazioni di ricerca e salvataggio. I dati con la posizione dell’imbarcazione vengono ritrasmessi a terra, ai centri di soccorso. Ma dopo un minuto e mezzo il dispositivo di sicurezza cessa le trasmissioni.
Perché?
A questo interrogativo non c’è una risposta certa. Gli esperti di vela ipotizzano una collisione (con uno dei tanti relitti galleggianti in mare o addirittura con una nave più grande) oppure la rottura del bulbo, il pinnone in piombo che garantisce la stabilità dell’imbarcazione. Ma i dubbi delle prime ore non verranno mai fugati, anzi prenderanno sempre più corpo, al punto da far ipotizzare anche una messa in scena per nascondere la verità sulla scomparsa della barca.
Le ricerche e gli appelli
Le ricerche del “Bright” partono nelle ore successive e durano alcuni giorni, coordinate dalle autorità portoghesi. La Marina militare italiana mandò in supporto la nave Alpino, diretta negli Stati Uniti, e la zona è stata battuta anche con un elicottero e altre imbarcazioni. Secondo i familiari le ricerche durano troppo poco perché a bordo della zattera di salvataggio Aldo e Antonio sarebbero in grado di sopravvivere a lungo.
«I miei genitori avevano sentito Antonio il 29 aprile» raccontò la sorella Alice «stava bene e tutto procedeva per il meglio. Sia lui che Aldo, due marinai esperti, avevano pianificato la traversata nei minimi dettagli. Avevano attrezzato l’imbarcazione di tutto punto ed erano pronti ad affrontare qualsiasi situazione. A bordo avevano anche una zattera. Abbiamo saputo che hanno trovato dei resti dell’imbarcazione ma questo non significa nulla. Le ricerche devono continuare finché non li ritrovano. Noi aspettiamo e speriamo».
Anche la moglie di Aldo Revello, Rosa Cilano, era in contatto costante con il consolato italiano in Portogallo e la capitaneria di porto : «Chiedo alle autorità che continuino ad impegnarsi nelle ricerche. Antonio per Aldo non è solo il suo marinaio, è molto di più di un amico, per noi è come un fratello. Sono marinai esperti, cercateli senza sosta», disse allora. Ma qualche giorno dopo le ricerche cessano e del “Bright” non si troverà più alcuna traccia.
Intanto scatta la mobilitazione dei tanti amici, degli esperti di vela e di tutti gli appassionati di mare: tutti sottolineano come due marinai esperti e attrezzati possano sopravvivere anche per settimane su un gommone di salvataggio, per questo bisogna continuare a cercarli. Da Bovolenta a La Spezia vengono organizzate fiaccolate e manifestazioni, parte anche una sottoscrizione per pagare le ricerche, l’onda emotiva raggiunge l’Italia intera e ormai il giallo del “Bright” è un caso nazionale.
Il popolo dei velisti
Il popolo dei velisti e degli appassionati di mare, oltre che i tantissimi amici dei due skipper, organizza un passaparola che mira a raggiungere ogni imbarcazione che si trovi ad attraversare quel tratto di mare. Attraverso un “warning” diffuso in tutti i porti tra il Portogallo, il Marocco e le Azzorre l’invito ai naviganti è quello di tenere gli occhi bene aperti e fare attenzione anche al più piccolo dettaglio. Anche i ricercatori del Cnr si mobilitano e forniscono dei calcoli sulla possibile traiettoria della deriva, un braccio di mare lungo 250 chilometri e largo 20 chilometri a est delle Azzorre. Ma ogni giorno che passa l’area di deriva si fa sempre più ampia.
La segnalazione anonima: “C’è stata una collisione”
Passano le settimane, passano i mesi e non si hanno altre notizie. Ufficialmente i due uomini di mare risultato dispersi e la prima ipotesi resta quella del naufragio e dell’affondamento improvviso dell’imbarcazione. Ma non mancano gli interrogativi: Aldo e Antonio erano due esperti di vela, possibile che non abbiano fatto in tempo a mettersi in salvo sulla scialuppa d’emergenza? Perché l’allarme è durato solo un minuto e mezzo e poi ha smesso di funzionare? Possibile che conoscendo la posizione esatta dell’imbarcazione le ricerche non abbiamo portato a nulla? Come mai non sono stati trovati resti del relitto? Sono molte le domande poste dai parenti e girate alla Procura di Roma, competente per questo genere di casi.
Verso la fine di settembre la moglie dello skipper Aldo Revello racconta di aver ricevuto una segnalazione via social da una persona rimasta anonima, secondo la quale Aldo e Antonio sarebbero morti dopo la collisione della barca a vela con una nave da carico. C’è anche un nome, Cmb Catrine, nave da carico battente bandiera di Hong Kong, costruita da un armatore belga e con equipaggio filippino che nei giorni della scomparsa si trovava in zona ed aveva anche partecipato alle ricerche. Secondo la fonte anonima il cargo avrebbe speronato il “Bright” lasciando i due marinai al loro destino. Se ne parla per mesi, il contatto anonimo non fornisce altre indicazioni utili, anzi invia una foto che si rivelerà un falso, perché maldestramente ricava da un filmato del 2006.
Le indagini della Procura di Roma
L’inchiesta sulla scomparsa dei due velisti è in capo alla Procura di Roma, che per anni segue l’unica pista del naufragio. La Polizia Postale cerca anche di rintracciare il sedicente testimone della collisione, che su Messenger aveva usato lo pseudonimo di “Lone Sailor”, e riesce solo a stabilire che il messaggio sia partito dal Senegal.
«La verità è lontana dall’essere raggiunta», commentano i genitori di Antonio, «la fonte anonima ha fornito prove palesemente artefatte. Sembra quasi un maldestro tentativo di far cessare le ricerche, di metterci a tacere. C’erano delle circostanze che meritavano un approfondimento».
2019, 2020, 2021...Gli anni passano e le notizie sull’inchiesta si fanno sempre più scarse. La moglie di Revello presenta l’istanza per la dichiarazione di morte presunta dello skipper, un atto doloroso, spiega, ma necessario per affrontare una serie di questioni pratiche nella quotidianità familiare. Da Bovolenta invece la famiglia Voinea continua a chiedere che le indagini non si fermino, perché ci sono ancora molti aspetti che non sono stati chiariti, ci sarebbero altre piste da seguire oltre a quella del naufragio per collisione e dell’omissione di soccorso. Ci sarebbero anche altre persone da sentire, a partire dal passeggero del “Bright” sceso alle Azzorre qualche giorno prima, ma anche la convivente di Antonio e altri ancora. Gli avvocati ingaggiati dalla famiglia Voinea continuano a fare la spola con Roma, per avere notizie sull’inchiesta che sembra invece aver imboccato una strada senza uscita.
La svolta: l’inchiesta va avanti per altri sei mesi
Gli anni passano ma nel silenzio la ricerca della verità sulla scomparsa del “Bright” non si ferma. Anzi, l’agenzia investigativa “Reveles” di La Spezia, incaricata dalla famiglia Voinea, riesce a raccogliere elementi nuovi che l’avvocato Niccolini mette in fila nell’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta. Così il giudice per le indagini preliminari Daniela Caramico D’Auria respinge la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero Silvia Sereni e concede altri sei mesi per le indagini.
A svelarlo, dalle pagine del mensile “Nautica” è il giornalista Corrado Ricci, che spiega come a dare un nuovo impulso all’inchiesta siano state alcune scoperte particolarmente interessanti. Anzitutto una fattura datata agosto 2020 e intestata ad Antonio Voinea per il noleggio di un’auto, una Renault Clio, all’aeroporto di Lisbona tra il 18 agosto e il primo settembre. A questo si aggiunge un altro mistero, quello dei collegamenti che hanno lasciato traccia sui profili social dello skipper Revello il 19 ottobre 2018 e di Voinea il 15 luglio 2021.
Sono state oggetto di indagine anche le chiamate senza di risposta tramite Messenger alla nonna del marinaio padovano, ancora nel maggio 2018, pochi giorni dopo la scomparsa del “Bright”. Infine potrebbe contenere altre informazioni utili anche il tablet di Antonio, spedito dalle isole Canarie ai familiari dall’ex convivente del marinaio. Il dispositivo, come ha riferito il legale, è stato conservato in questi anni dai genitori ma il contenuto non è mai stato visualizzato né consultato. «In questi sei anni la famiglia di Antonio Voinea ha sempre e solo espresso un unico desiderio di verità», sottolinea l’avvocato Niccolini, «chiede che sia fatta piena luce e di sapere cosa è successo a loro figlio».
Adesso la palla passa alla Procura, cui spetta il vaglio dei nuovi elementi emersi insieme ad ulteriori approfondimenti, anche raccogliendo le testimonianze di diverse persone che in questi anni, direttamente o indirettamente sono state coinvolte nel giallo del “Bright”.
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