Von der Leyen, appello ai Ventisette: l’Europa ce la farà solo se unita
La presidente della Commissione Ue delinea la strategia per rispondere alla sfida di Trump: «Dobbiamo ingranare la quarta. Le regole di ingaggio fra i poteri globali stanno cambiando»
Una roadmap a dodici stelle contro decine di decreti firmati da Donald Trump, ovvero un piano strategico per sfidare decisioni esecutive. Quando Ursula von der Leyen ammette che «il mondo è cambiato e l’Europa deve ingranare la quarta» è consapevole delle ragioni che frenano l’Unione, delle armi spuntate da un processo democratico zavorrato e dalla esigenza (giusta) che tutti gli Stati esprimano il proprio voto, nel rispetto delle vocazioni nazionali e delle famiglie politiche.
Sa anche, la tedesca, che c’è chi gioca allo sfascio, chi costruisce il consenso criticando un’Europa che ha contribuito a rendere imperfetta, e chi vede nel rinato imperialismo americano la sponda per dire che il nazionalismo paga e ingannare così gli elettori.
La cosa che la presidente della Commissione può fare, allora, è scrivere una ricetta che rivoluzioni il motore imprenditoriale ed energetico del continente, e questo fa. A febbraio i testi saranno sul tavolo dei governi nazionali, che dovranno approvarli insieme con l’Europarlamento. Il successo dell’offensiva dipende esclusivamente dalle ventisette capitali e dai loro rappresentanti.
La stagione invernale porta von der Leyen sul palco del World Economic Forum di Davos, davanti alla platea dei più ricchi che si interroga sul futuro del Pianeta non senza preoccupazione (figuriamoci i poveri). Donald Trump si è tuffato nella cristalleria delle relazioni multilateri con la stessa foga con cui lo sciamano Jake Angeli-Chansley, fresco di grazia, irruppe nel Congresso americano il 6 gennaio 2021. Costruisce muri, mobilita l’esercito, esce dagli accordi climatici, spara sull’Organizzazione mondiale della Sanità e minaccia dazi. Dispettoso com’è sotto il suo vello ora imbiancato, nel suo discorso d’insediamento The Donald non cita nemmeno l’Europa, dimenticando pure gli alleati di sempre, i britannici. Se lo facesse, sarebbe in fondo una forma di legittimazione. Dunque niente. Come fanno certi bulli con le ex che hanno scelto uno migliore.
La risposta di Ursula è ineccepibile, ma sa parecchio di polveri bagnate «poiché le regole di ingaggio fra i poteri globali stanno cambiando». In sintesi, dopo aver detto che l’Europa ha tutte le forze per farcela (vero), la tedesca cala il piano della Commissione per la decarbonizzazione e la competitività ispirato al Rapporto Draghi. Obiettivo: favorire una crescita pulita, aumentare la produttività e la capacità di innovazione, salvare l’occupazione e ridurre i lacciuoli burocratici per le imprese. Come? La presidente elenca i titoli giusti. Ai contenuti, come vogliono i Trattati, dovranno pensare gli Stati membri.
Von der Leyen si focalizza sul mercato della liquidità e su come i risparmi degli europei non finiscano alle imprese anzi, in buona parte, vadano proprio negli States (300 miliardi di euro): promette che ci sarà un’Unione dei risparmi degli investimenti, variante dell’Unione dei Mercati dei capitali di cui i governi discutono improduttivamente dal 2014.
La seconda carta è il set unico di regole per le imprese che innovano, armonizzato dal lavoro alla tassazione; lo battezza «ventottesimo regime» quello che deve funzionare oltre i ventisette in vigore.
La terza partita guarda all’approvvigionamento di elettricità e gas affidabile e pulito, in cui c’è in ballo anche il nuovo nucleare. Lo slogan è «quando l’Europa sta insieme le cose si fanno». Ma l’Europa non sta sempre insieme, questo è chiaro.
Rientrata dopo una sosta causa polmonite, Ursula von der Leyen prova a buttare il cuore l’ostacolo. Snocciola la serie delle cose da fare e finalmente arriva all’elefante Donald quando parla di inondazioni e incendi. Si rivolge al mondo perché Trump intenda: «Se ci sono mutui benefici, siamo pronti a lavorare con voi». Sottolinea la necessità di trovare nuovi mercati (c’è l’intesa Mercosur!). Quindi si torna all’Uomo della provvidenza americana. «Vogliamo cooperazione con chiunque sia disponibile e questo naturalmente comprende i partner storici». Gli americani? Sì, i 3,5 milioni di americani che lavorano negli States per società europee, e quelli che hanno da noi due terzi dei capitali esportati all’estero. A loro dice: «Siamo pronti a negoziare, saremo pragmatici, ma difenderemo i nostri interessi e valori».
Nel match con gli Usa, l’Europa è obbligata alla strada lunga del costruire maggioranze e compromessi. Se si farà agnello, sarà mangiata dal lupo. L’aiuterebbe un poco di visione. Non quella dell’olandese commissario all’Ambiente, Wopke Hoekstra, che definisce «uno sfortunato incidente» l’uscita di Washington dagli accordi di Parigi. E non quella della premier italiana, volata a Capitol Hill «per difendere gli interessi della nazione». L’Europa ha bisogna di essere unita o non sarà, deve lavorare sugli obiettivi comuni o fallirà.
«È il momento di impegnarsi oltre i blocchi e tabù», avverte von der Leyen. I Ventisette devono dare sostanza alle parole senza pensare che ci si possa salvare da soli in caso di declino continentale.
In mezzo allo tsunami economico e politico generato da Trump, sono gli Stati che possono perdere e loro che devono vincere. La stagione degli alibi è purtroppo, ma anche fortunatamente, conclusa. —
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