Andrea Tornielli: «Papa Francesco amava i media ma guardava le persone negli occhi»

Il giornalista veneto direttore editoriale del Dicastero ad hoc in Vaticano: «L’ho conosciuto quando era arcivescovo di Buenos Aires, l’ho visto l’ultima volta a novembre»

Enrico Ferro
Papa Francesco saluta la folla a San Pietro
Papa Francesco saluta la folla a San Pietro

Andrea Tornielli, giornalista di Chioggia e direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, quando ha conosciuto Bergoglio?

«Nel 2005, in piazza San Pietro. Gli regalai un libro e lui, qualche settimana dopo, mi fece recapitare un messaggio per commentare quel testo. Già all’epoca concludeva ogni biglietto chiedendo di pregare per lui».

All’epoca era ancora arcivescovo di Buenos Aires.

«Certo, sì».

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Cosa l’ha colpita di lui?

«Parlo da credente che fa il giornalista: mi ha colpito subito il senso di paternità che emanava. Incontrandolo veniva spontaneo aprire il proprio cuore a quella profonda paternità spirituale».

Poi lui fu proclamato Papa. Com’è cambiato il vostro rapporto?

«Lui era il Papa e io seguivo l’informazione vaticana per la Stampa. Gli feci la prima grande intervista a dicembre del 2013: cinque pagine di giornale sul tema del Natale. Ma poi abbiamo fatto anche il libro intervista sul Giubileo della Misericordia. Ho avuto modo di vederlo in tante occasioni, pubbliche e non».

Questo rapporto si è poi evoluto con la scelta di Papa Francesco di nominarla direttore editoriale dei media vaticani. In cosa consiste, precisamente, il suo lavoro?

«Abbiamo Osservatore romano, Radio Vaticana e Vatican News: un sistema mediatico che si completa con i social network e la Libreria Editrice Vaticana. Ogni giorno usiamo 56 lingue diverse. Il nostro staff è composto da redattori che provengono da 69 Paesi diversi, che da qui raccontano il Papa, la Santa sede e raccolgono testimonianze dalle chiese del mondo».

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Che rapporto aveva Papa Francesco con i media e il mondo dell’informazione?

«Lui è sempre stato piuttosto schivo, non rilasciava interviste volentieri e non cercava un rapporto con i mass media. Ma il pontificato lo ha cambiato. È diventato espansivo, fino a donarsi in tutto e per tutto. In questo contesto è cresciuto anche il suo rapporto con i media. Ha iniziato a fare colloqui in aereo con i giornalisti, senza alcun tipo di preparazione. È stato un grande uomo di comunicazione, che ha saputo parlare con i gesti e fare scelte sorprendenti, privilegiando talvolta media e persone lontani dalla fede cristiana».

Si riferisce al rapporto con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari e con il conduttore televisivo Fabio Fazio?

«Questi sono due esempi ma ce ne sarebbero anche tanti altri. Il dialogo con Scalfari iniziò con la risposta a una lettera. Francesco ha comunicato a 360 gradi, parlando con tutti».

E con il web e i social network che approccio aveva?

«Si è sempre affidato a chi gestiva la comunicazione, incoraggiando tutti noi a usare i nuovi mezzi ma con un avvertimento: il virtuale non può mai sostituire il reale. Nella comunicazione della fede è fondamentale potersi guardare negli occhi. La Chiesa si è così confermata pioniera nell’uso della tecnologia. Vale la pena di ricordare che Radio Vaticana è stata creata da Guglielmo Marconi, nel 1931».

C’era anche il rapporto privilegiato con Luca Casarini e Mediterranea, così Bergoglio comunicava accoglienza.

«Penso che questo rientrasse più nel suo essere pastore. Ci ha invitato a guardare evangelicamente agli ultimi, ai poveri, ai migranti. La sua attenzione per chi muore in mare è stata sempre molto alta. Il suo primo viaggio italiano, a luglio 2013, fu proprio a Lampedusa».

Nell’ambito della comunicazione c’è stata anche qualche caduta, come l’uso della parola “frociaggine” riferita al mondo omosessuale. Fu un eccesso di spontaneità?

«È stato sicuramente un uomo trasparente, si è sempre espresso in maniera libera, spontanea e genuina. Frasi estemporanee ce ne sono per molti leader ma bisogna sempre metterle nel giusto contesto. Certamente Papa Francesco ci ha insegnato ad avere grande rispetto per le persone, per tutte le persone, anche gli omosessuali».

Per la scorta è stato difficile seguirlo, specie agli inizi quando usciva a Roma senza preavvisare nessuno. È stato così difficile seguirlo anche per la struttura comunicativa?

«Facile no di certo, perché è sempre stato il Papa delle sorprese, delle iniziative pensate all’ultimo momento. Ma il Papa non può essere imbrigliato solo nell’ambito istituzionale, non può essere paragonato a un qualsiasi altro capo di stato. Prima di tutto è un vescovo e un pastore e incontra la gente, le persone».

C’è chi ha criticato la sua assenza fisica nel periodo della malattia. Non si vedeva il suo corpo e questo ha scatenato le critiche. Poi è stata diffusa la foto di lui in carrozzina. Cosa ne pensa?

«Io trovo queste polemiche pretestuose e fatte da persone che non hanno idea di cosa significhi stare in punto di morte in ospedale. Il malato va tutelato nella sua dignità. I comunicati quotidiani dicevano tutto: questa ossessione per vedere il corpo non ha senso. Quando è stato possibile mostrarlo, con dignità, come la prima foto del 16 marzo, è stato mostrato. Cosa faremmo noi con nostra mamma e nostro papà?».

Papa di sinistra, critico nei confronti delle guerre, ha parlato di genocidio a Gaza facendo infuriare la comunità ebraica. Che eredità lascia?

«Destra e sinistra sono categorie politico-parlamentari in cui non entra la Chiesa. Bergoglio è stato considerato di sinistra per alcune cose e di destra per altre. Il suo magistero di pace è stato grande, fino all’ultimo urbi et orbi ha predicato il disarmo e il no alla guerra. Lui che per primo aveva denunciato l’esistenza di una terza guerra mondiale a pezzi, ha visto questi pezzi saldarsi sempre più e fino all’ultimo ha ribadito l’assurdità della guerra. Chiedeva di disarmare le menti, di disarmare le parole, di disarmare la terra».

Questa è la sua eredità?

«L’eredità che lascia è avere mostrato il volto di una Chiesa misericordiosa, che cerca di aprire le porte a tutti. Ci ha insegnato come i fenomeni siano tutti connessi: guerre, carestie, fame nel mondo, il sistema economico finanziario in cui viviamo, il cambiamento climatico. Chiedeva di preservare la terra in cui viviamo, per figli e nipoti».

Un’ultima curiosità, quando l’ha visto l’ultima volta?

«L’ultima volta che ho potuto salutarlo è stato a novembre dello scorso anno, quando c’è stata la plenaria del nostro Dicastero».

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