Le riflessioni di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina: «Nessuno può salvarsi da solo»

L’incontro con il Pontefice nella Casa di Santa Marta e l’angoscia a due mesi dall’invasione. «La Nato non doveva stuzzicare. Putin intriso di Russia imperiale. L’Ue una nonna statica»

Marco Zatterin
Papa Francesco stringe la mano al presidente ucraino Zelensky (LaPresse)
Papa Francesco stringe la mano al presidente ucraino Zelensky (LaPresse)

Prima di congedarsi, dopo quasi un’ora di riflessioni sulla guerra in Ucraina e sul futuro di un’Europa che gli pare fragile, il Santo Padre si ferma a un passo dalla soglia della grande stanza al piano terra della Casa di Santa Marta, la sua residenza nel cuore di Città del Vaticano. Nella memoria la luce vira al giallo, tinta imbrunita dall’intonaco delle pareti. Gli occhi del Pontefice sono luminosi, accoglienti come la stretta di mano. «Pregate per me – dice con un sorriso confortante – questo è un lavoro difficile». Poi alza la destra in segno di saluto e sparisce zoppicando oltre porta di legno pesante che, subito, si richiude.

La difficile rivoluzione nella Chiesa
Ferdinando CamonFerdinando Camon
Papa Francesco nella basilica di San Pietro (Ansa)

È l’inizio di aprile del 2022. Da meno di due mesi la Russia ha scatenato la sua ondata di morte in Ucraina, un orrore che buona parte del mondo condanna e davanti al quale l’Ue è riuscita a trovare un’unità di reazione per molti inaspettata. «Putin ha esagerato anche questa volta», concede Francesco. Circolano in quei giorni voci che il Papa voglia muoversi in prima persona per fermare il massacro, ma lui fa capire che non succederà, non ci sono le condizioni. «Andrò a Kiev se servirà», è la formula diplomatica di rito, tuttavia si capisce che il tempo non è maturo. Non riesce a fidarsi sino in fondo dello zar di Mosca, lo conosce bene, si sono sentiti in dicembre, due mesi prima dell’aggressione. «È un uomo molto colto – spiega Bergoglio – mi ha chiamato per il mio compleanno». Ma non basta.

Adesso il Santo Padre non intende parlargli: «Lui dice sempre sì, sì, sì, poi mette giù e fa quello che gli pare». Vuole vedere come andranno le cose e oggi sappiamo che la missione non c’è mai stata. L’attacco ucraino ha posto fine a una consuetudine relazionale di sostanza, il Capo della Chiesa di Roma e quello del Cremlino si erano visti tre volte a Roma nel 2013, 2015 e 2019. Analogamente, ha condotto la tempesta nei rapporti con Cirillo, il patriarca ortodosso russo.

«Si dice che Putin facesse da chierichetto al padre – afferma Bergoglio con tono grave – ora è lui che fa da chierichetto a Putin». Un pensiero che lo colpisce e che ripeterà qualche settimana più tardi in una intervista pubblica.

L’Unione europea si sta comportando bene, concede. «Ho chiesto a Ursula von der Leyen come li ha convinti tutti – rivela –, lei mi ha detto “come si fa con i bambini” e lei di bambini ne ha sette. Eppure – ammette – sono stato critico con l’Europa, ormai è una nonna non più fertile e statica». Detto questo, su clima e migranti sono stati compiuti dei progressi, «è diventata più accogliente», e l’azione deve continuare, poiché «il Signore ci chiederà conto di tutto questo», dei morti e dell’essere restati a guardare. «Un paese deve essere sovrano – sottolinea – ma non chiuso».

Sull’Ucraina, insiste, «l’Europa ha le sue colpe, forse la Nato non doveva andare a stuzzicare la Russia». Ma è il comportamento di Putin che pare irritarlo di più. «Non cambierà, non può», confessa. Risponde alla sua storia, al senso dell’impero ereditato dalla zarina Caterina e dallo zar Pietro il Grande. «Questo non è cambiato con Putin, è intriso della Russia imperiale». E allora? La risposta del Papa è che i conflitti non si risolvono con la guerra, ma col superamento di rivalità e antagonismi: «La lezione del nostro tempo è che nessuno si salva da solo».

Quando l’orologio segnala che l’incontro sta finendo, c’è spazio per l’invito a ragionare su cosa sia peggio della crisi, ovvero il dramma di sprecarla: perché da una crisi non se ne esce uguali, quanto migliori o peggiori. Allora occorre «promuovere la cultura della non violenza dell’incontro, il multilateralismo», poiché è così che «si diffonde il seme della fiducia e del rispetto reciproco». Questo implica anche il superamento della differenza fra credenti e non credenti, per andare alla radice di tutto, all’umanità. «Nessuno è straniero» davanti a Dio, è il saluto di Francesco, mentre si allontana zoppicando leggermente. Non si vedono i piedi sotto la bianca veste, così l’impressione è che scivoli via sospeso, senza toccare il pavimento di candido marmo.

Riproduzione riservata © il Nord Est