La sfida climatica coinvolge ognuno di noi, parola di Luca Mercalli

Intervista al climatologo e divulgatore scientifico: «Abbiamo già superato il punto di non ritorno. Entro la fine del secolo il livello del mare potrebbe salire anche di un metro»

Alessandra Ceschia
Il climatologo Luca Mercalli sarà ospite al convegno di Aquileia dove si parlerà di politiche ambientali
Il climatologo Luca Mercalli sarà ospite al convegno di Aquileia dove si parlerà di politiche ambientali

Quella che si è da poco conclusa a Baku in Azerbaijan è stata una delle conferenze annuali sul clima dell’Onu più deludenti della storia. Tanto per i risultati, quanto per l’interesse suscitato: poco o nulla. Un incoraggiamento a chi, al riscaldamento globale, non ci vuole proprio pensare. O, peggio, non ci vuole credere.

Quasi ci fosse ancora tempo per farlo. A spiegare che non è affatto così è Luca Mercalli, climatologo, divulgatore scientifico e presidente della Società Meteorologica Italiana che oggi – 5 dicembre – sarà ad Aquileia nell’ambito di un convegno in dialogo con il vicedirettore Nem con delega al Messaggero Veneto Paolo Mosanghini.

Aquileia, città dal passato millenario e dal futuro incerto a causa del cambiamento climatico, stando a uno studio pubblicato dall’università di Kiel...

«Non c’è solo lo studio dell’università di Kiel, questo è lo scenario condiviso da tutta la scienza internazionale, sappiamo da quarant’anni che il mare sta aumentando di livello. Non riguarda solo Aquileia, ma anche Grado, Venezia, tutto il delta del Po e, più ampiamente, è un problema a livello globale, questi sono i dati contenuti nella Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, documenti governativi ufficiali che sembrano non fare notizia, eppure attualmente il mare sta salendo di 4,8 millimetri l’anno a livello globale; fino a 20 anni fa l’incremento annuo era di 2 millimetri, presto potrebbero diventare 8. Alla fine del secolo il livello marino potrebbe innalzarsi anche di un metro. Mezzo metro, se applicheremo tutte le strategie per contrastare il riscaldamento climatico».

Non solo terre sommerse, il riscaldamento globale sta ridefinendo la geografia, la biodiversità, l’urbanizzazione e l’economia del pianeta?

«Tutto è collegato, il cambiamento climatico è un elemento di forte pressione sociale, infatti determina forti fenomeni migratori».

Quanto può incidere il Piano nazionale di adattamento sui cambiamenti climatici?

«L’adattamento è una sorta di elastico che si può tirare, finché non si spezza. Possiamo mettere in atto una serie di strategie per ridurre i rischi e i danni. Opere strutturali come il Mose di Venezia non si possono realizzare ovunque e, comunque, potrà rappresentare una scelta funzionale per 30 e 40 anni, poi bisognerà pensare ad altre soluzioni».

E le politiche internazionali?

«Il loro ruolo è quello di mettere in atto strategie per ridurre le emissioni, ma finché i governi litigheranno e le Nazioni Unite non avranno potere esecutivo saremo in una sorta di condominio con il tetto rotto dove gli interessati discutono e non fanno i lavori».

Qual è il punto di non ritorno?

«Lo abbiamo già superato, ci troviamo di fronte a un pianeta malato nel quale la temperatura è salita di 1,5 gradi, possiamo solo cercare di stabilizzare questa situazione. L’accordo di Parigi mira a limitare il riscaldamento globale assolutamente al di sotto di 2°C e a proseguire gli sforzi per circoscriverlo a 1,5°C al fine di evitare le conseguenze catastrofiche entro la fine del secolo. Eppure in questi anni, l’epidemia di Covid, le guerre e le crisi economiche hanno relegato le politiche ambientali in secondo piano».

Ciascuno di noi può fare qualcosa?

«Certo. L’adozione di pannelli fotovoltaici, l’isolamento delle abitazioni, le scelte antispreco per ridurre il consumo in bolletta e le emissioni sono un dovere per ciascuno. In questi giorni ancora si vedono negozi che accendono il riscaldamento ma tengono le porte aperte ed è folle. Anche l’utilizzo dell’aereo, il mezzo più inquinante, deve essere limitato. Ci sono buoni esempi che vengono dai comuni virtuosi che cercano di risparmiare energia e di preservare l’ambiente, cui si contrappongono comuni cementificatori e spreconi: il nuovo Rapporto sul consumo di suolo rivela dati drammatici che evidenziano troppe scelte insostenibili».

Nel suo libro “Salire in Montagna” ha spiegato i benefici della migrazione verticale, che ricalca una sua scelta di vita. Dobbiamo trasferirci tutti nelle Terre alte per sfuggire alle temperature roventi?

«No. Anche questa è una forma di adattamento, ma non si può attuare ovunque e non per tutti. Un problema così complesso non può avere un’unica soluzione. È comunque una strada che può essere percorsa efficacemente: ci sono tantissime aree montane che soffrono di spopolamento, un problema che in futuro potrà esser risolto con la presenza di una fetta di popolazione che vivrà o lavorerà in montagna per evitare le alte temperature della pianura».

 

 

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