La glaciologa Colleoni: «Invertire la tendenza ormai è impossibile, per salvare i ghiacciai investiamo in ricerca»

La glaciologa dell’Ogs di Trieste Florence Colleoni ha partecipato alla Cop29 per mantenere alta l’attenzione sull’innalzamento del livello del mare

Giulia Basso
Un'immagine della mostra "Obiettivo ghiacciai" (foto Renata G Lucchi)
Un'immagine della mostra "Obiettivo ghiacciai" (foto Renata G Lucchi)

Ha partecipato alla Cop29, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Baku lo scorso novembre. Florence Colleoni, glaciologa dell’Ogs, era lì per conto dello Scientific committee on antarctic research, di cui fa parte, per sostenere le iniziative del Padiglione criosfera e del gruppo “Ambition on melting ice: on sea-level rise and mountain water resources” (Ami).

Florence Colleoni
Florence Colleoni

Il gruppo Ami, nato alla Cop27, ha l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione sull’innalzamento del livello del mare e sulla tutela delle risorse idriche montane, promuovendo azioni più rapide per ridurre le emissioni e prevenire impatti globali irreversibili.

La perdita della criosfera, infatti, è legata anche a minime variazioni della temperatura globale, specie al di sopra del limite di 1,5°C, come dimostrato dalle ricerche scientifiche pubblicate dopo l’Accordo di Parigi. Co-diretto da Cile e Islanda, il gruppo Ami include Paesi situati in regioni polari e montane e nazioni a bassa altitudine, che già subiscono le conseguenze dei cambiamenti della criosfera.

Nonostante la conferenza di Baku – come d’altra parte quella di Busan sulla plastica – sia stata letta come un fallimento per l’incapacità di raggiungere un accordo soddisfacente sui finanziamenti per i Paesi del sud globale, il progetto Ami ha ottenuto due nuove adesioni, quelle della Germania e di Palau, portando a 25 il numero degli stati membri. «A questi summit ormai nessuno nega più la realtà dei cambiamenti climatici – sostiene Colleoni –, ma i diversi Paesi si smarcano dicendo che economicamente non sono in grado di affrontare la transizione climatica. E noi scienziati siamo sì ascoltati, ma la scienza non entra mai nella stanza dei negoziati».

Cosa si intende per criosfera e perché la sua perdita è così critica per il pianeta?

«La criosfera è tutto ciò che è ghiaccio, dalle calotte polari ai ghiacciai di montagna, dalle zone di permafrost al ghiaccio marino. Tutte queste aree sono a rischio: lo scioglimento dei ghiacciai montani è un problema per l’agricoltura locale, per il turismo, per la produzione di elettricità. Le calotte polari che si sciolgono contribuiscono all’innalzamento del livello del mare, causando a livello locale un maggiore riscaldamento, perché non vi è più la riflessione dei raggi solari data dal bianco di ghiacci e neve. E globalmente portano a perdite di territorio, amplificano l’impatto delle mareggiate e perturbano la circolazione oceanica, con conseguenze sulle temperature medie ad alte latitudini».

Come dovrebbero agire i governi per invertire questa tendenza?
«Invertire la tendenza è impossibile, perché si tratta di impatti che si registrano su una lunga scala temporale: così come per assorbire il calore, anche per rilasciarlo ci vogliono decenni. Ma la perdita della criosfera si può mitigare riducendo le emissioni: più saremo bravi, meno le conseguenze saranno pesanti e dureranno nel tempo».

Crede che la consapevolezza globale sull’importanza della criosfera stia crescendo?

«Non ci sono più i negazionisti del clima neanche tra i Paesi che inquinano di più, e a queste conferenze noi scienziati siamo invitati, ma poi veniamo ignorati quando si tratta di prendere decisioni. Ormai l’alibi per non agire è di carattere economico: i Paesi dicono che non ce la fanno ad affrontare economicamente la transizione climatica, i produttori di petrolio non vogliono rinunciare ai propri introiti e i conflitti rendono la situazione ancora più difficile. Ma la scienza dev’essere lì per mantenere la pressione e contribuire a definire i contorni di eventuali accordi, fissando obiettivi scientificamente validi. Anche il negoziato internazionale sulla plastica di Busan è in fase di stallo».

Come evitare questi fallimenti e accelerare i progressi?

«Se si vuole trovare una soluzione su larga scala, anche nel caso della plastica bisogna investire pesantemente nella ricerca: in epoca Covid è stata questa scelta a permetterci di trovare un vaccino per sconfiggere il virus». —

 

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