Così la moria di vongole mette in ginocchio il settore della pesca
Il cambiamento climatico incombe sui pescatori. Una situazione tragica, con i banchi di vongole in cui è andato perso fino al 99% del prodotto. E la colpa non è solo del granchio blu. I pescatori di tutta la costa veneta si sono riuniti per protestare: ecco il loro racconto
Il mare veneto è malato e le sue sentinelle, i pescatori, sono stravolti. Così, la mattina dell’8 novembre, sono arrivati a Venezia da tutta la costa, da Caorle a Chioggia, sui loro pescherecci, gli stessi che non escono in mare da 15 giorni, a causa della moria di vongole, che sta mettendo in ginocchio tutto il settore. Sono venuti a chiedere lo stato di calamità, ammortizzatori sociali e un piano di rilancio del settore.
«Siamo davanti a una tempesta perfetta» commenta Antonio Gottardo, responsabile regionale di Legacoop pesca Veneto, «l’obiettivo non è chiedere risorse ma il finanziamento di un piano di rilancio del settore, non possiamo andare avanti così». Un periodo difficile, un’estate tremenda, all’insegna degli eventi climatici estremi che hanno riversato nell’alto Adriatico una grande quantità di acqua dolce con la conseguente deossigenazione del mare e la comparsa di mucillagini.
E, a cascata, una moria di molluschi. Una situazione tragica, con i banchi di vongole in cui è andato perso fino al 99% del prodotto. Se le morie si sono susseguite nel tempo, questa è di gran lunga peggiore, tanto da mettere in crisi il futuro dei pescatori, lasciandoli senza certezze.
Le prospettive per il futuro non sono buone: il cambiamento climatico incombe sui pescatori. «Di fronte a una situazione del genere possiamo fare due cose» prosegue, «mettere una pezza o rivedere il modello di tutto il settore». Per questo, gli addetti del mestiere hanno partecipato a un tavolo in regione, con l’ammiraglio Filippo Marini, direttore del Porto di Venezia, e il prefetto Darco Pellos.
«Ci hanno detto che dovrebbero esserci i fondi per i Piani di ricomposizione produttiva e ambientale» fa sapere Gottardo. Che ci sia interesse da parte della Regione lo conferma anche l’assessore alla pesca, Cristiano Corazzari: «Il 29 ottobre ho portato in giunta la delibera sulla richiesta di riconoscimento di calamità naturale per la mucillagine e le alte temperature di questa estate» ha fatto sapere, «il governo ha un mese di tempo per fare il decreto di riconoscimento. Ci sono tutti gli elementi per farlo, soprattutto una caduta verticale della produttività, con una perdita del 90% della produzione». Per il consigliere Jonatan Montanariello (Pd), la delibera non basta: «Dobbiamo mettere al sicuro il comparto, in attesa del Governo, altrimenti rischiamo una macelleria sociale.
Possiamo tirare subito fuori due milioni dal bilancio, come tampone». Della stessa opinione anche Erika Baldin (M5s): «Le risorse messe sul tavolo non bastano, cercheremo di fare il possibile per aiutare i pescatori».
E l’Europa, in tutto ciò? «Più che mettere vincoli e norme inapplicabili, non ha capito che nel nostro mare c’è un patrimonio importante» risponde Gottardo. Anche Corazzari punta il dito contro Bruxelles: «Non è madre ma matrigna. Molte delle limitazioni imposte a livello generale non dovrebbero essere applicate nell’alto Adriatico. Abbiamo bisogno di norme e regolamenti specifici e dobbiamo lasciare che i nostri pescatori siano i primi gestori del mare» conclude.
Non solo granchio blu
Sì certo, c’è il granchio blu. Ma è solo uno degli ultimi problemi per il mondo della pesca. Il più grave per me? L’inquinamento che scende in mare dai fiumi, tutto finisce nel nostro mare».
Michele Boscolo Marchi è al timone della motopesca Broccatelli, una turbosoffiante di 25 tonnellate, una delle barche usate per la pesca costiera, in particolare per pescare le vongole di mare. Boscolo Marchi è il presidente del Cogevo, il Consorzio di gestione e valorizzazione dei molluschi bivalvi. Ha 58 anni, è in mare da quando ne aveva 17, e conosce il mare come pochi qui a Chioggia. È stato suo padre a lasciargli la barca e a insegnargli le regole del mare, le regole del mestiere.
La barca esce dal Lusenzo
Così funziona di solito: partenza alle 5, ritorno a mezzogiorno. È metà mattinata: Punta Poli e la laguna del Lusenzo, dietro il mercato ittico, sono già alle nostre spalle.
«Oggi c’è qualche onda, i lavori del Mose hanno modificato le correnti, ma ora andiamo in una zona più coperta», racconta mentre la barca sta per uscire dalla bocca di porto di Chioggia. Le gambe fanno da sismografo, si balla un po’, ma il livello d’allerta per chi vive in mare è a livelli ben più alti di chi monta in peschereccio per la prima volta.
«Non c’è da preoccuparsi», spiega Michele al timone. Ora, davanti alla spiaggia di Sottomarina. Così funziona la pesca delle vongole di mare – i lupini, per dirla ad altre latitudini – da non confondere con le vongole “veraci”, che poi sarebbero le filippine, allevate in ambiente lagunare. Qui siamo in mare. Una sorta di gabbia, che sta a prua, viene calata sul fondale, e la raccolta viene fatta in retromarcia. A domare funi e catene per calare la gabbia è il marinaio Luca Tiozzo, 24 anni, imbarcato da 16. Uno dei ragazzi che nasce con il mare dentro, anche se ce ne sono sempre meno e in molti decidono di cambiare vita, anche quando arrivano da famiglie marinaresche. Nella gabbia viene sparata acqua ad alta pressione che serve a muovere il fondale per poter raccogliere le vongole.
I piccoli granchi blu
Quando la gabbia le scarica sulla cesta di prua, ci sono decine di piccoli e piccolissimi granchi blu. A vederli così, che si fanno prendere in mano, non diresti che sono pericolosi.
«L’anno scorso in cinque mesi, in una zona di mare che stavamo monitorando, hanno divorato tutto. Il granchio blu apre le vongole con le chele, ha una pazienza infinita, aspetta che la vongola si apra un millimetro e ci infila dentro le sue chele. Invece se sono vongole con la buccia tenera perché cresciute molto in fretta, le schiaccia e poi se le mangia. Le femmine depongono le uova in mare, e così nascono milioni di granchi».
In media poco più di 2 milioni di uova per singola deposizione, come attestano le ricerche condotte dal docente Piero Franzoi, del Dipartimento delle Scienze ambientali di Ca’ Foscari, per conto della Fondazione del Mare.
«Per questo», prosegue il presidente del Cogevo, «abbiamo chiesto al ministero che ci autorizzi a pescare i granchi blu per poi portarli a smaltimento, perché con la cattura in mare possiamo aiutare a risolvere il problema». Intanto, a bordo della barca, il lavoro prosegue. Dopo la raccolta, le vongole passano al vibrovaglio, così si chiama il setaccio che permette di separare le vongole che poi arriveranno sul mercato e nelle cucine dei ristoranti - la taglia minima deve essere di 22 millimetri in base a una deroga accordata all’Italia che scadrà nel 2025 - da quelle più piccoline che vengono rigettate in mare.
La filiera
Già da anni i pescatori di vongole lavorano su commissione: tutto quel che viene pescato è già venduto. Ogni imbarcazione può pescare al massimo 400 chili di vongole al giorno, e in media le uscite mensili sono una decina. Pesca contingentata, per non abbassare troppo i prezzi. «Noi, a seconda della taglia», aggiunge il presidente del Cogevo, «vendiamo le vongole a 2 o 3 euro al chilo». Al consumatore finale arrivano a un prezzo compreso tra gli 8 e i 10 euro, dopo almeno tre passaggi (grossisti, broker, commercianti al dettaglio).
«Come capita agli agricoltori, anche noi siamo quelli che ci guadagnano meno», aggiunge Boscolo Marchi, «perché in fondo noi ormai siamo gli agricoltori del mare». Spesso le turbosoffianti sono accusate di provocare gravi danni ai fondali – è il caso soprattutto delle imbarcazioni abusive che vanno in laguna - ma va detto che nel corso degli ultimi vent’anni la sensibilità ambientale del comparto è cresciuto, anche per la consapevolezza che è necessario trovare un equilibrio: se non altro per avere la certezza che il lavoro ci sarà anche domani. Si semina in mare, si aspetta e si raccoglie. Di anno in anno la semina viene spostata in zone meno produttive le cui aree vengono “chiuse” per consentire la riproduzione delle specie. Si semina. E si raccoglie. Come gli agricoltori. A Chioggia fanno parte del Cogevo 76 imbarcazioni, di cui 50 pescano vongole e 26 i fasolari.
L’incognita Pfas dai fiumi
«Per questo ci sono delle aree dove non peschiamo, proprio perché aspettiamo che le vongole diventino mature. Siamo i primi a volerci prendere cura del mare. E quel che ci preoccupa, oltre al granchio blu, è l’inquinamento che arriva dai fiumi, compresi i Pfas», ragiona ancora il presidente del Cogevo. Un recente studio dell’Università di Stoccolma pubblicato su Science Advances ha messo in discussione l’idea che i mari diluiscano i Pfas che arrivano dai fiumi, sostenendo invece che spingano queste sostanze di nuovo verso riva. «È risaputo che ci sono delle zone fortemente contaminate in Veneto, ma cosa accade quando questi Pfas arrivano in mare con i fiumi?», si interroga il presidente del Cogevo, «ci piacerebbe saperlo. Perché non c’è solo il granchio blu».
Nuove leve molto rare e i il 40% molla presto
Sette pescatori su dieci scelgono di lavorare in mare per tradizione di famiglia, solo che poi il 40% di questi non prosegue più l’attività. Lo sostiene Fedagripesca che ha disegnato un quadro poco lusinghiero per quella che una volta, almeno a Chioggia, era l’attività principe dell’economia locale, tramandata di generazione in generazione.
Un tempo, infatti, i figli proseguivano il mestiere dei padri e già in tenera età, impensabile al mondo d’oggi, si imbarcavano, prima come mozzi di bordo per poi imparare il lavoro e diventare esperti pescatori. Ma il pescatore ha sempre cercato nel tempo di elevare il proprio stato sociale, soprattutto dal punto di vista culturale. Così sempre più figli di pescatori hanno proseguito gli studi, guadagnando una posizione che non li portava a intraprendere la via del mare. Anzi, se qualche ragazzi non aveva molto feeling con lo studio, le madri, rimproveravano i figli con una minaccia: «Se non vai bene a scuola, ti mando in mare con tuo padre!».
Il ricambio generazionale tra i pescatori è sempre più difficile. L’indagine di Confcooperative Fedagripesca evidenzia che nell’ultimo decennio il settore ha visto fuoriuscire il 16% dei pescatori imbarcati.
«Si fa sempre più fatica a formare gli equipaggi», spiega Paolo Tiozzo, vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca, «occorre un cambio generazionale. Riteniamo fondamentale investire nella formazione con corsi di studio dedicati all’economia del mare. In quest’ottica apprezziamo molto la convenzione tra il Ministero dell’Agricoltura con l’Università Politecnica delle Marche per l’istituzione del corso di laurea triennale sul management ittico. Come associazione continueremo a portare pescatori e biologi nelle scuole, perché di spazio per i giovani ce n’è e non solo a bordo dei pescherecci».
Anche la politica veneta abbraccia l’idea. «Sono pochi ormai», dice il consigliere regionale Marco Dolfin, «i giovani che scelgono questa importante e difficile professione. Bisogna pensare a misure urgenti per invertire la rotta e rendere più appetibile il mestiere ai giovani. Occorre pensare ad un ricambio generazionale per salvare le nostre radici. Ben vengano i progetti formativi scolastici».
Luca, generazione Z in barca dai 16 anni: «il mare è la mia vita»
Il mestiere del pescatore, lo dicono le statistiche, non attira più i giovani. I dati della marineria chioggiotta parlano infatti di una età media tra i pescatori clodiensi che si attesta oltre i 50 anni, un dato che sembra in controsenso soprattutto in virtù del fatto che intraprendere questo lavoro non è cosa da tutti ed è ancora molto duro. Levatacce, giorni passati in mare senza manco vedere la terraferma e guadagni che non sono più quelli di qualche decennio fa, non attirano i giovani. Ma c’è sempre qualche eccezione che conferma la regola. A bordo di una turbosoffiante, una barca dedita alla pesca delle vongole di mare, c’è Luca Tiozzo, nome comunissimo dalle parti di Sottomarina. Ha 24 anni, è un classe 2000, generazione Z.
E viene da una famiglia di pescatori.
Luca da quanto fa il pescatore?
«Sono in mare da quando avevo 16 anni».
Luca come mai ha scelto di fare il pescatore?
«Innanzitutto perché non ero portato per lo studio, con i libri ci litigavo e quindi ho preferito lavorare e visto che la mia famiglia è gente di mare, ho deciso di intraprendere anch’io la stessa strada e poi fare il pescatore mi piace».
Ha sempre fatto il pescatore di vongole?
«Assolutamente no. Prima lavoravo nei pescherecci di famiglia, due imbarcazioni nuove varate proprio a cavallo del 2000. Andavamo a volante, a pesca di pesce azzurro e devo dire che il guadagno era anche piuttosto buono. Poi, piano piano, l’Europa ha cominciato a mettere dei paletti, sempre più difficile da rispettare e a quel punto è stato deciso di abbandonare la pesca a coccia volante, le barche sono state vendute ed io ho cambiato mestiere. Peccato, era davvero due bellissimi pescherecci, il “Genny” e il “Vittoria” , ormeggiavamo a Sottomarina, vicino al ponte dell’Isola dell’Unione».
Però non ha smesso di andare in mare.
«A me pescare in mare piace moltissimo. A Sottomarina ci sono un sacco di barche che si dedicano alla pesca delle vongole e così ho trovato il posto di lavoro sulla vongolare di Michele Boscolo Marchi, il presidente del Co.Ge.Vo., una splendida persona. Dopo tanti anni lavoriamo in sintonia, ci basta uno sguardo per capire quello che dobbiamo fare. E poi sono organizzatissimi. Tutti i pescatori sono iscritti ad una chat. Alla sera arriva sul telefonino un messaggio che dice quali siano le imbarcazioni che possono uscire in mare e quanto devono pescare, perché qui si pesca solo sul prodotto ittico ordinato».
È più dura la vita su un peschereccio d’altura, ora dotato di tutti i confort immaginabili e possibili oppure uscire a pesca di vongole con una barca molto più piccola?
«Per me è molto più dura andare in alto mare. Con il peschereccio si rimaneva anche dieci ore in mare, ora al massimo stiamo 5-6 ore e poi si ritorna. Il mare comunque è la mia vita, non potrei fare altri lavori».
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