Coltivare l’acqua per resistere al nuovo clima

Scorte sempre più povere, nel Veneto si è estinto un quarto degli affioramenti: prendono corpo gli interventi di raccolta attraverso infiltrazioni naturali. Nell’Alto Vicentino i primi esperimenti

Sergio FrigoSergio Frigo

Coltivare l’acqua è l’ultima spiaggia della resistenza al cambiamento climatico. E può rivelarsi anche un buon affare per chi deciderà di destinare a questa “coltura” i propri terreni. Nonostante le frequenti precipitazioni dell’ultimo anno abbiano rimpinguato sorgenti e corsi d’acqua del Veneto, è infatti tutt’altro che risolto il problema strutturale dell’impoverimento delle falde acquifere, che secondo gli studiosi nell’ultimo cinquantennio hanno perso il venti per cento del loro volume, mentre tutti i nostri fiumi hanno ridotto la loro portata.

A livello nazionale uno studio dell’Ispra ha mostrato che rispetto all’inizio del secolo scorso la disponibilità di acqua in Italia si è già ridotta di un quinto, una percentuale che è destinata a raddoppiare nei prossimi anni, facendo del nostro paese quello con il più alto livello di rischio di stress idrico in Europa. Anche di questo si occuperanno la Giornata mondiale dell’acqua, in programma domenica e il Festival di Staranzano (Go), tra il 22 e il 25 maggio.

Sintomo inequivocabile di questo fenomeno è il progressivo prosciugamento delle risorgive: un rapporto dell’Anbi Veneto (l’associazione dei consorzi di bonifica) registrava ancor prima del 2022, anno della grande siccità, l’estinzione di 215 degli 869 affioramenti censiti in regione. Il fatto è che a causa del cambiamento climatico ormai da qualche anno nel nostro territorio nevica meno e cade la stessa quantità di pioggia ma in molti meno giorni, il che provoca ovviamente lunghi periodi di siccità (che si somma al caldo torrido) alternati a precipitazioni intense che ingrossano i corsi d’acqua che vanno verso il mare senza essere assorbite dal terreno e quindi arricchire la falda (oltre ad allagare campagne e città). È tempo di intervenire, prima che sia troppo tardi. Ma come, visto che al clima notoriamente non si comanda? Bisogna tornare a raccogliere e immagazzinare l’acqua.

Nel suo spettacolo “Mar de Molada”, portato tra settembre e ottobre in quattro luoghi topici del Veneto d’acqua, Marco Paolini si è richiamato all’antica sapienza veneziana, che fino al 1884 (anno dell’attivazione dell’acquedotto in città) ha saputo soddisfare il fabbisogno idrico di un numero di abitanti oltre il doppio dell’attuale semplicemente raccogliendo l’acqua piovana nei 102 pozzi sparsi nei campi cittadini. Questa antica pratica, ovviamente aggiornata, assieme alle tecniche di infiltrazione naturale, alternative o complementari agli invasi e alle dighe, è al centro di alcune sperimentazioni avviate nella fascia pedemontana – l’ultima da poche settimane - grazie ai finanziamenti LIFE dell’Unione Europea che si propongono proprio di “coltivare l’acqua”.

Se ne occupa, tra le altre cose, il libro appena uscito di Filippo Moretto (responsabile del Centro studi di Anbi Veneto) “Il tempo dell’acqua. La gestione consapevole delle risorse idriche come risposta al cambiamento climatico” (Ed. Ronzani, pp. 164, € 20), che presenta un’analisi teorico-pratica della situazione attuale, proponendo alcune iniziative concrete sul territorio che superino la polarizzazione fra ecologismo astratto che rinuncia al futuro ed efficientismo capitalistico che rimuove la memoria del passato.

«Uno dei sistemi sono i pozzi bevitori», spiega Giustino Mezzalira, già direttore della Ricerca di Veneto Agricoltura e neo-eletto nel Consorzio Brenta, fra gli ispiratori di queste tecniche.

«Essi funzionano come dei grandi imbuti: raccolgono l’acqua meteorica in un raggio di alcune decine di metri e la convogliano con un tubo negli strati ghiaiosi da cui è composto il sottosuolo dell’Alta pianura, e da qui essa filtra fino alla falda; un processo analogo viene attivato nelle cave esaurite e nelle aree forestali di infiltrazione, che sono terreni in cui si alternano canalette di raccolta dell’acqua e filari di piante le cui radici la depurano mentre scende nella falda».

Cosa accade

I risultati di questi interventi, realizzati in alcuni impianti collocati nell’Alto Vicentino (dove si alimenta l’acquedotto di Padova) e nell’Alta pianura friulana, sono incoraggianti, perché costano molto poco e rendono parecchio: si calcola infatti che un ettaro di terreno boscato possa infiltrare quasi un milione di metri cubi d’acqua ogni anno; una cinquantina di queste aree produrrebbero quindi quasi la meta del consumo di acqua potabile di Padova e Vicenza.

L’investimento complessivo per questi interventi potrebbe aggirarsi sui 5 milioni di euro (comprensivi anche dei compensi da riconoscere agli agricoltori per il cambio di destinazione d’uso dei terreni), cioè un trentesimo del costo preventivato della contestatissima diga del Vanoi.

“Svolta blu”, l’ultimo arrivato dei progetti Life per l’implementazione di queste tecniche e l’attivazione di una rete di enti pubblici e di soggetti privati per la loro gestione, è stato avviato a ottobre e può contare su un finanziamento di 2 milioni di euro: ne fanno parte Viacqua, la Fondazione Palazzo Festari IPA Alto Vicentino, 35 fra Comuni e Unioni Montane, categorie economiche, il Consorzio di Bonifica Alta pianura Veneta, l’ANBI, l’ Università di Padova e l’ente di certificazione CSQA: la presenza del CQSA e della professoressa Mara Thiene del Tesaf UniPd, esperta di valutazione dei costi dell’acqua, è propedeutica a uno sviluppo particolarmente innovativo di questa iniziativa, cioè la messa a punto di un sistema di “crediti blu” per finanziare l’operazione e renderla anche economicamente interessante.

Il meccanismo sarebbe lo stesso dei crediti di carbone, ideati per compensare le emissioni di Co2: una volta determinato il loro valore essi verranno messi sul mercato e potranno essere acquistati da aziende ad alto consumo di acqua, che in questo modo finanzieranno indirettamente la realizzazione dei pozzi bevitori o delle aree di infiltrazione, azzerando o ridimensionando la loro impronta idrica. 

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