Tre motivi per cui il violenzametro trasmette un messaggio sbagliato

Il test di autovalutazione, diffuso dall’Arma dei carabinieri in occasione del 25 novembre, restituisce l’erronea idea che ci sia una scala di valutazione della violenza

Daniela Larocca

Violenzametro. Si chiama così il test di “autovalutazione” pubblicato, in occasione del 25 novembre, sul sito dei carabinieri. E’ inserito nella più ampia sezione dedicata al “codice rosso”, che offre informazioni sul fenomeno e sugli strumenti di tutela delle vittime.

Ma davvero vogliamo chiamarlo così? Vogliamo davvero che uno strumento diffuso dall’Arma dei carabinieri sia fraintendibile per terminologia e grafica? Proviamo a ragionare sul perché in tre punti.

Il nome

Partiamo dal nome: violenzametro. Ricorda un po’ quei programmini che si vedono per misurare qualcosa. Esempio? Il partitometro in vista delle elezioni. Ma in questo caso non c’è davvero nulla da misurare, non esiste un metro per indicare la gradazione di violenza. Non è un banale prodotto di armocromia che giudica quale colore ci sta meglio addosso o fa per noi.

I colori

I messaggi, in una giornata del genere dove si scoprono le panchine rosse e dove si ripetono le immagini di scarpette rosse, passano anche dai colori. Il violenzametro ci restituisce una scala cromatica che passa dal giallino più pallido al rosso più scuro, a seconda della gravità del gesto di violenza. Il giallo riporta a uno stato di pre-allerta, un semaforo davanti al quale decidere se frenare o passare. Non si deve passare oltre sulla violenza.

Gli step e i suggerimenti

Infine gli step, che sono tre, segnati dal gradiente riportato dal violenzametro. I cinque punti del primo gradino sono: «ti ignora, ti inganna, ti sminuisce, ti umilia, ti controlla». In presenza di questi atteggiamenti, il test suggerisce di fare «attenzione perché il rapporto con il tuo partner potrebbe peggiorare!». Quel potrebbe è molto potente: spiega, implicitamente, che possiamo ignorare quel tipo di atteggiamento. Che la relazione “potrebbe” anche migliorare. Forse eh, solo se il partner decide di cambiare e di volerci bene. Non funziona così. L’umiliazione, per citarne solo una, è un campanello d’allarme: la violenza si cela in tutti gli atteggiamenti che offendono e limitano la libertà della persona. Anche se li coloriamo di un “giallino sbiadito”.

Poi, andando avanti nella lettura, il test suggerisce ancora: «Parlane con i tuoi familiari e amici. Richiedi un supporto psicologico». Sono parole più che condivisibili, vero. La famiglia, la scuola, gli amici sono il nostro primo porto. Però, perché non denunciare subito? Perché solo nei punti seguenti («ti ricatta, ti isola, ti perseguita») c’è l’input a chiamare il 1522 e rivolgersi a un centro di antiviolenza?

Ovviamente si può fare, le forze dell’ordine non ci dicono di non farlo. Ma se il 25 novembre deve essere la roccaforte della sensibilizzazione per l’eliminazione della violenza di genere, la domanda da porsi è una: serve davvero un decalogo o, come viene proprio definito, un test di autovalutazione? Serve davvero arrivare agli ultimi gravissimi punti (ti minaccia di morte, ti costringe ad avere rapporti sessuali, ti minaccia con armi) per chiamare il 112 e chiedere aiuto alle forze dell’ordine?

Il nostro ruolo

Queste sono riflessioni importanti da fare ogni giorno per cambiare, nei piccoli gesti, la cultura della violenza. Bene che se ne parli, ancora meglio che lo facciano le forze dell’ordine, il primo nostro punto di riferimento in caso di denunce. Ma bisogna essere iper-attenti al modo in cui si fa comunicazione, soprattutto quando si procede a schematizzare un fenomeno come questo. Sul sito dei carabinieri la sezione sul “codice rosso” spiega per filo e per segno tutto quello che c’è da sapere. E dice, anche in maniera più che esaustiva, che non c’è un solo motivo per non chiedere aiuto.

Ma allora perché rendere l’infografica, in un momento dove le immagini fanno tutto, così poco efficace? Non esiste una scala di violenza né un test di autovalutazione per situazioni simili. Perché se ammettiamo che ci sia un gradino più basso, stiamo giustificando l’indifferenza e la strisciante cultura del “tanto non è successo a me”. O peggio ancora “tanto succede a tutti”. Il 25 novembre e i giorni a venire non possono misurarsi su un termometro cromatico. E chi guarda alla nostra sicurezza, cosi come chi fa informazione, deve avere il dovere di pesare le parole. Che sono importanti e senza colori

Riproduzione riservata © il Nord Est