Così la morte di Giulia Cecchettin ha aperto uno squarcio sul dramma dei femminicidi

La psicoterapeuta Anna Maria Casale: “Oggi più che mai anche i giovanissimi, seguendo la vicenda di questa ragazza, conoscono cosa può accadere in una relazione basata sul controllo e sul possesso e c’è una maggiore contezza del pericolo»

Valentina CalzavaraValentina Calzavara
Giulia Cecchettin
Giulia Cecchettin

Il suo sorriso è diventato familiare, la sua tragedia è entrata in maniera prepotente in tutte le nostre case. Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha lasciato un segno che sarà per sempre. Aggredita l'11 novembre 2023 e poi uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta. Aveva ventidue anni Giulia, sognatrice e talentuosa. Tutti hanno rivisto in lei la figlia, la sorella, la migliore amica. È forse per questo che qualcosa è cambiato dopo il femminicidio di Giulia. In Veneto, come nel resto d’Italia.

«Questo femminicidio è particolare, in primo luogo per la giovanissima età degli attori della triste vicenda. Allo stesso tempo, ha sollevato un’attenzione maggiore, non diversa, ma sottolineo maggiore, perché ha aperto alla drammaticità del fenomeno della violenza di genere la consapevolezza dei più» evidenzia la professoressa Anna Maria Casale, psicologa e psicoterapeuta sistemico relazionale.

Anna Maria Casale
Anna Maria Casale

Con Giulia lo spiraglio sul problema è diventato uno squarcio. «Si parla di femminicidio da tanti anni ma il caso di Giulia lo conoscono tutti, anche i giovanissimi, che prima non erano magari così informati sulle dinamiche criminologiche. Oggi più che mai anche i molto giovani, seguendo la vicenda di questa ragazza, conoscono cosa può accadere in una relazione basata sul controllo e sul possesso, e c’è una maggiore contezza del pericolo» dice Casale.

Un passo in avanti rispetto ai tanti passi ancora da compiere, se si pensa che oggi, nel nostro Paese, il 45% delle violenze nei confronti delle donne viene commesso da uomini tra i 18 e i 35 anni. Ma è anche vero che nei mesi successivi al femminicidio di Giulia le chiamate al numero antiviolenza 1522 sono raddoppiate e lo scorso luglio un ragazzo di Pordenone, avvertendo il pericolo dell’ossessione verso la fidanzatina, ha chiesto aiuto a un centro antiviolenza, dicendo alle operatrici: «Io non voglio diventare come Filippo Turetta».

Stigmatizzare il problema della violenza contro le donne a livello sociale e offrire strumenti di aiuto alle vittime ma anche insistere sul recupero dei maltrattanti, costituisce una sfida culturale urgente.

«Il numero così elevato di reati di genere nella fascia più giovanile della popolazione è data dalla maggiore capacità di affermazione delle donne e da una più alta propensione a ribellarsi e a non sottostare a uomini patologici, che esercitano il possesso e hanno ancora difficoltà a lasciar andare e ad accettare il no».

«Se osserviamo il fenomeno dal punto di vista maschile, i giovani crescono in un modello sociale e familiare spesso più aperto, evoluto e paritario, ma permane la difficoltà culturale a gestire la crisi dentro la relazione».

Dal tanto dolore per la scomparsa di Giulia, può sollevarsi una piccola speranza? Conclude la professoressa Casale: «La speranza deve esserci e non possiamo pensare che non ci sia più. Ai ragazzi dobbiamo dire che gli adulti ci sono, se vogliono, per aiutarli. Dentro una relazione tossica c’è una possibilità di riscatto, chiedendo aiuto, da entrambe le parti. Ogni persona per stare bene con l’altro deve vivere mettendosi al centro della propria esistenza e non esistere solo in funzione di qualcun altro. Quello non è amore. Giulia ce lo ricorda ogni giorno».

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