Fondazione Giulia Cecchettin: «Unite per promuovere il cambiamento»
La presidente di Banca Etica Ambra Fassano è tra i membri del Cda della Fondazione: «In Italia il 37 per cento delle donne non ha un conto corrente autonomo»
Gino Cecchettin presenterà alla Camera dei deputati la fondazione che porta il nome di sua figlia Giulia. Un’iniziativa per il contrasto a ogni forma di violenza di genere, che coinvolge figure diverse.
Tra loro c’è anche Anna Fasano, presidente di Banca Etica. «Gino Cecchettin ha scelto di aprire il conto della fondazione in Banca Etica, ritrovandosi nei valori che esprimiamo. C’era una visione comune sulla finanza etica, sulla sensibilità che questa promuove sul fronte della parità di genere», ci spiega, precisando di essere entrata nell’associazione benefica a titolo personale.
Come è nata questa collaborazione e su cosa punterà con la sua partecipazione?
«Banca Etica da sempre è a fianco – sia con strumenti finanziari, che con il lavoro sul piano culturale e della formazione – di chi si occupa di promuovere un cambiamento radicale, supportando allo stesso tempo le donne vittime di violenza.
La fondazione Cecchettin ha messo tra i suoi obiettivi la promozione della collaborazione e Banca Etica è un luogo di reti: siamo portatori di relazioni con soggetti che già si occupano di questi temi che metteremo a disposizione per attivare nuove progettualità.»
Ad esempio?
«Chi si occupa dello spettro sociale ha a che fare con tante dimensioni, come quelle educative. Ad esempio, la formazione del personale di azienda deve iniziare a tener conto di un cambiamento che non è rinviabile. Da parte nostra cerchiamo di sviluppare analisi e strumenti che camminino a fianco delle organizzazioni che supportano le donne che hanno subito violenza.
Abbiamo un focus specifico sulla violenza economica, perché è quella che attraverso l’essere banca riusciamo a identificare. È uno strumento di ricatto molto importante, ma poco studiato, analizzato e contrastato. Dobbiamo fare sistema: non solo per parlare di violenza di genere, ma anche per portare a un’azione che conduca al cambiamento. Questo è il senso di questa collaborazione.»
Sul fronte del contrasto alla violenza economica, come bisogna agire?
«Ci sono due elementi su cui lavorare. Il primo è la consapevolezza, che in questo momento sicuramente manca. Le donne sono poco informate sui temi finanziari perché li continuano a delegare agli uomini e non li concepiscono come strumenti di autonomia e libertà. Basti pensare che in Italia il 37 per cento delle donne non ha un conto corrente autonomo. Il secondo elemento è che di educazione finanziaria non si devono occupare solo le economiste: parlarne in modo molto complesso e settoriale è un errore.
Nessuno ha l’ambizione di spiegare in pochi minuti come funziona un fondo di investimento, ma dobbiamo far capire che ruolo può avere quel fondo nelle nostre vite, quali sono le domande da porre ad esempio a un consulente per fare delle scelte in autonomia. La violenza economica è un primo passo verso una privazione della libertà e questo è un dato strutturale che riguarda tutti. Bisogna parlarne su tutti i fronti e costruire insieme una nuova parità. La presa di consapevolezza non può essere solo delle donne, ma anche degli uomini.
È passato un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin, che aveva innescato una reazione senza precedenti. Abbiamo un po’ perso quello spirito?
«Non abbiamo perso quello spirito. Ci sono tantissime cose per cui dovremmo scendere in piazza, ma il rischio che la rabbia si trasformi in frustrazione e non invece in impegno, è grande. In questa fase storica, non solo in Italia, questo sta in parte accadendo.
Dobbiamo attivare luoghi, modalità e strumenti per spingere il cambiamento. Quello culturale, lo sappiamo tutti, non avviene in poco tempo, ma dobbiamo iniziare. Tante cose si stanno muovendo, ma sono piccoli semi a cui si dà poca voce: invece dovrebbero mettersi assieme in modo da farsi sentire e dire che non si possono più accettare alcune cose. Serve l’impegno di tutti. È troppo facile dire che siamo scesi in piazza e non è cambiato nulla. Da soli si fa poco, ma vanno cercati i luoghi del cambiamento e di denuncia, per fare evolvere la normalità a cui siamo abituati, arrivando ad abitarne una nuova.»
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