«Abbiamo trovato Giulia». Nessun padre può farsi trovare preparato per una cosa simile

Il discorso di Gino Cecchettin, scritto e mai pronunciato: «Questo libro già letto da migliaia di persone ha diffuso la bellezza di Giulia continuando a veicolare un messaggio di speranza e di cambiamento»

Gino Cecchettin con i figli all'uscita dal funerale di Giulia, in basilica Santa Giustina a Padova
Gino Cecchettin con i figli all'uscita dal funerale di Giulia, in basilica Santa Giustina a Padova

«Qualche anno fa stavo andando con la famiglia in gita a San Marino quando all’improvviso, percorrendo la statale Romea un’auto ci ha attraversato la strada.

Sbam! !!

L’urto è stato pazzesco.

Io e mia moglie, seduti davanti, abbiamo avuto pochi millisecondi per prepararci.

Per Elena e Giulia sedute dietro è stato un colpo improvviso.

Giulia aveva solo tre anni e se n’è uscita con: “Papà perché non hai suonato il clacson!”.

Per lei un taglio in testa e per Elena tanto spavento.

Ci siamo spaventati moltissimo, ma fortunatamente, una volta che la ferita si è rimarginata non ci sono state conseguenze gravi, a parte qualche torcicollo per noi un po’ più anzianotti.

Questo è un tipo di impatto che non ha lasciato cicatrici durature. Anzi lo ricordiamo con serenità, per il modo poco ortodosso con cui Monica, mia moglie è uscita dall’auto. Dopo l’urto si è girata, ha visto Giulia sanguinante, piega la gamba e sbam!

Ha aperto la portiera o meglio l’ha divelta. A pensarci adesso mi viene ancora da sorridere.

Nel 2016 però la nostra vita è cambiata di nuovo. A Monica è stato diagnosticato un cancro al seno. Ero a Milano per lavoro, a una fiera di settore.

Lei a casa con la busta in mano, ci si telefonava tutte le sere.

“Aspetto che torni per aprirla mi disse”, poi non ha resistito. Mi ha ritelefonato e mi ha detto l’apro e la leggo con te al telefono.

Ricordo un lungo silenzio, percepivo il suo pianto ma lo stava soffocando, la conoscevo troppo bene. Poi le parole: “Ho un tumore”. (Mi vengono i brividi a ricordarlo).

Mi sono arrivate dritto al petto, come colpito dall’onda d’urto di una bomba.

Anche questo un impatto inaspettato, fatto di un prima, anni di felicità e progettualità, la casa da sistemare, magari un appartamento in montagna.

Un durante di sette anni diviso tra aspettativa, ottimismo, attesa, e tante parole non dette, come: “Quando saremo vecchi ci terremo ancora mano nella mano nelle passeggiate”.

E tante cure e vissute assieme mano nella mano, e ancora speranza che tornava dopo rari segnali di miglioramento, e infine illusione e speranze infrante.

Quel durante finito con un marito e tre figli che piangono colei che rappresentava il punto d’unione di quella famiglia.

Una famiglia senza il suo perno deve ritrovare gli equilibri, a questo non ci si pensa, sono le conseguenze non previste di quell’impatto.

Ognuno ha reagito a modo suo. Chi vivendo il dolore in modo silente, chi lo palesava e cercava un abbraccio di conforto e chi si è immerso nelle attività quotidiane a testa bassa ma tutti immancabilmente nei momenti di dolore cercavamo il contatto con gli altri.

Nessuno si sarebbe aspettato che dopo un anno da quella tragica perdita ci sarebbe stato un altro impatto ancor più forte e ancor più devastante.

Una domenica mattina mi sveglio e c’è un letto vuoto!

Sbam!!!

Ancora una volta venivo colpito da una cosa più forte e più grande di me, perché avevo già capito che qualcosa veramente di brutto era successo, al meglio sarebbe stato un incidente.

Il paradosso pensare che un papà pensi a un incidente.

Quell’impatto non è stato un istante. È durato una settimana. Avete presente quei video in slow motion della palla che colpisce un volto?

A velocità normale è tutto immediato, in qualche modo “semplice” . Ma quando lo vedi al rallentatore ecco che noti ogni fibra del corpo modificarsi, la pelle piegarsi, il collo torcersi. “Ecco io mi sentivo così.”

Per Giulia l’attesa dell’impatto è stata la parte più dolorosa. Durante l’attesa vedi il colpo arrivare, lo aspetti, lo temi, speri che ti schivi.

Poi arriva, una telefonata…”Abbiamo trovato Giulia”.

Un contatto devastante.

Anche se ero preparato, un impatto travolgente. Avevo puntato i piedi durante quella settimana che mi aveva già dato modo di capire cosa mi aspettasse, eppure sono stato spazzato via, annichilito.

E, per quanto in fondo ti dicessi di essere preparato, non lo eri per niente, perché nessuno può esserlo.

Quel momento, quel durante è durato altri 17 giorni, 408 ore, 25.000 minuti.

Ero in un limbo, come attraversare un tunnel lunghissimo senza vederne l’uscita.

La notizia del ritrovamento di Giulia è stata essa stessa un forte impatto per tutti gli italiani che avevano seguito la vicenda.

È stata come una fissione nucleare dove un neutrone si scontra con il nucleo dell’atomo di uranio, lo scinde in due e dalla reazione altri neutroni si liberano e vanno a colpire a sua volta altri nuclei.

Il primo nucleo a essere colpito siamo stati noi, famiglia.

Il post di Elena, con lucidità cristallina ha innescato altre reazioni: “…è stato il vostro bravo ragazzo…non è un mostro ma un figlio sano del patriarcato”.

Questo ha portato a una presa di coscienza collettiva, manifestazioni contro la violenza di genere e migliaia di persone in piazza.

Giulia ha toccato tutti, e mi sono sentito in dovere di non sprecare ciò che era nato. Giulia aggiungeva valore, e quando faceva qualcosa la migliorava, prendere lei come esempio significava cercava di trasformare un forte dolore in un qualcosa di positivo. Ho scritto una lettera, cercando di trasformare la mia triste esperienza in un messaggio di speranza.

Pensavo che, uscito dalla chiesa, avrei potuto chiudermi finalmente in casa tra i miei pensieri. Non avevo pensato alle 10.000 chiavi che tintinnavano, altri neutroni partiti.

Ad oggi quell’onda non si è fermata. È stato il propulsore per un progetto sociale.

È nato un libro, arrivato dal consiglio di un amico di scrivere le mie emozioni perché mi avrebbe aiutato. Questo libro già letto da migliaia di persone ha diffuso la bellezza di Giulia continuando a veicolare un messaggio di speranza e di cambiamento.

Altri neutroni.

È nata l’idea di creare una fondazione, Fondazione Giulia per aiutare le donne vittime di violenza e fare formazione nelle scuole.

Ci stiamo lavorando e questo progetto mi dà tantissima forza.

Ma c’è un’ultima cosa di cui volevo parlarvi, ed è tutta mia, il mio quotidiano, quando ti sforzi per la ricerca di una nuova normalità che ti si presenta il conto.

Quando pensi di stare relativamente bene e all’improvviso realizzi che sono tre settimane che non fai la spesa, prima la dovevi fare tutte le settimane.

Quando la lavatrice del rosso, la meno frequente non la fai da sei mesi, e i calzini di Giulia sono ancora lì che ti guardano.

Quando metti le tovagliette per la colazione e non sono più cinque perché Elena studia lontano, non sono quattro perché Monica è volata via, non sono tre Giulia ti è stata strappata.

O quando entri in casa e non senti più dire: “Ciao papino”.

E sono quei momenti gli impatti più duri, dove è difficile anche respirare, dove vorresti gridare forte il tuo dolore e non ti basta la voce e non bastano le lacrime.

Ed è per questo che farò di tutto perché ci siano sempre meno papà e mamme che vivono tutto questo».

Questo testo

Il testo che avete letto è quello che Gino Cecchettin avrebbe letto sabato 22 giugno al TedX di Belluno, cui ha poi preferito non partecipare per sopravvenute notizie di stampa che riguardavano Filippo Turetta, assassino di sua figlia Giulia

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