Senza odio possiamo costruire: le parole di Gino Cecchettin
Non provare odio aiuta la ricostruzione di sé, a collegarsi al mondo mostrando la qualità dell’esserci; rivela la coscienza del valore delle relazioni positive, quelle che permettono di confrontarsi con gli altri esseri umani diluendo le occasioni di attrito, i conflitti finalizzati all’altrui sconfitta
«Sono riuscito ad ascoltare le parole di Filippo senza provare odio o rabbia. E questo esercizio io l’ho fatto per un anno». Sono le parole del padre di Giulia Cecchettin nella recente intervista televisiva nello studio di Fabio Fazio.
Non sono parole che possano essere assimilate facilmente. Data la profondità, ho tentato di misurarle su di me: come dovrebbe comportarsi un uomo adulto, un padre? Sono rimasto disorientato. Perché, d’impulso, verrebbe da reagire al contrario: provare odio profondo, assoluto, per chi ha tolto la vita alla tua amata figlia.
È ragionevole credere che il cuore, nel corpo di tantissime persone, batterebbe spinto da questo combustibile. Certo, sarebbe un sentimento vanamente compensatorio, perché non possiede il potere di far rinascere nessuno. Naturalmente non provare odio, come il provarlo, è ininfluente rispetto alla morte. Ma i due atteggiamenti suggeriscono valori opposti e sono percorsi che conducono in luoghi profondamente diversi.
Non provare odio aiuta la ricostruzione di sé, a collegarsi al mondo mostrando la qualità dell’esserci; rivela la coscienza del valore delle relazioni positive, quelle che permettono di confrontarsi con gli altri esseri umani diluendo le occasioni di attrito, i conflitti finalizzati all’altrui sconfitta.
Ci vuole energia, pazienza e maturità per muoversi lungo questo percorso. E si ha bisogno di tempo. Niente a che vedere con la fiammata rabbiosa o la cronica ossessione odiatrice: pulsioni semplici, a scala individuale, spesso distruttrici. Distruggere non ha l’eleganza né la cura del costruire. Costruire conduce a considerare ciò che verrà, a valutare l’utilità e il senso di quello che si sta compiendo. Spinge a partecipare e a superare l’idea che il mondo ci sia costantemente debitore, sostituendola con quanto lo possiamo arricchire.
L’odio è solo la misura della nostra inconsistenza emotiva, individuale e collettiva. Purtroppo stiamo vivendo un periodo in cui è proprio l’odio la schiuma corrosiva di tanti, troppi giorni; in tante, troppe, aree del mondo. Stiamo stendendo, strato dopo strato, una vernice scura alle finestre impedendo che vi entri la luce.
Ma Gino Cecchettin, sia pure a scala personale, ha voluto comunicare che lui non intende farlo. Che si può, per scelta e con impegno, dire di no.
È una lezione? Non lo so. È un comportamento degno, questo bisogna riconoscerlo. Ha assunto una posizione, con chiarezza, davanti a tutti. Saremo invece noi la misura di quanto quelle parole siano importanti, perché la comunità, il luogo dove questo segnale arriva, potrà ignorarlo o ascoltarlo.
Ignorarlo, perché alla fine incapaci di affrontare la fatica che sempre necessita il misurarsi con i grandi eventi della vita. È la via del silenzio omertoso.
Ascoltarlo, perché capiamo che nel significato di quelle parole c’è una palestra dove allenare le nostre emozioni per convivere meglio nel mondo. È la via del rumore, gentile ma vitale. È la via per contrastare la vernice che oscura la luce. —
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