Gorizia e Nova Gorica, l’esempio di un meticciato “ostinato e contrario”

In tempi di muri e divisioni, questa frontiera porosa e avvolgente

dimostra che convivere nella pluralità è possibile. E rende la vita migliore

Angelo Floramo
Il ponte pedonale sull'Isonzo
Il ponte pedonale sull'Isonzo

Angelo Floramo è accademico, storico, medievalista, consulente scientifico della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli, oltre che scrittore e docente. Ama definirsi “figlio della frontiera”. Nel 2024 ha vinto il Premio Nonino Risit d’Aur. L’ultimo suo libro è “Breve storia sentimentale dei Balcani” edito da Bottega Errante Edizioni.

Angelo Floramo
Angelo Floramo

La frontiera

La frontiera. Oh, la frontiera! Questa membrana porosa, meticcia che avvolge tutto, alla fine ti entra sotto la pelle, come fa la Bora in inverno, il vento rabbioso e freddo che galoppa giù dall’altipiano, facendo rotolare con sé tutte le sue storie: d’amore, di guerra, di lotta e di libertà. Si fa sangue, carne e saliva. Un po’ che ci vivi sopra e diventi anche tu parte di lei. La respiri per qualche tempo e sei già diventato frontiera. Come le pietraie, gli orti, l’odore di carbone che impregna l’aria sottile del mattino, o si disperde nei vicoli, alla sera.

Il paesaggio

È un attimo, e sei parte del paesaggio, assieme alle vigne, i muri a secco, il profilo delle montagne. O il respiro del Carso, che in certe giornate di pioggia sa di salvia e di mare, capace di abbracciare distanze che diresti infinite. E tutto questo accade, forse, perché è uno spazio che attraversa le anime, più che le geografie, che qui sono uguali, proprio le stesse, difficili da distinguere: che tu stia da una parte oppure dall’altra sono le stesse, non importa da dove le guardi. Potresti anche scollinare senza nemmeno rendertene conto. Le facce della gente sono uguali. E così anche le case. L’odore delle cucine.

La lingua

La lingua perfino si è tanto imbastardita, a furia di mescolarsi a formare un groppo, che alla fine ha la nostra stessa voce, qui, dentro alla gola. Per questo è sempre successo di andare e di trovarsi di là senza aver capito né quando, né come ci sei arrivato. Almeno così capitava di fare, in tempi normali, quando la gente di qui si sposava con quegli altri, che abitavano nei villaggi d’attorno, anche quelli più lontani, che fanno la guardia alle nostre solitudini dentro ai loro recinti di pietra.

Tutti imparentati

Per questo siamo tutti un po’ imparentati fra noi, in queste contrade. Chiedi in giro: una zia di Maribor, una cugina di Idria, una sorella che è andata a Tolmin. Tanto che parlare degli altri, da queste parti non ha mica senso! Gli altri alla fine, siamo noi. Malgrado le follie del “secolo breve”, che stentano a svaporare, e gli incubi generati dai nazionalismi.

Le intersezioni

Terra di molteplici intersezioni questa nostra. Ma da sempre: siamo infatti l’incerto spartiacque tra le pianure dell’Est, che si perdono nella nostalgia slava fino al mar del Giappone, e gli aliti freschi dell’Adriatico, che vuol dire civiltà mediterranea; a nord batte le ali l’Europa centrale, con i suoi accenti germanici che rimbalzano fino al Baltico; a sud sonnecchia il mondo romanzo e latino, che sa di bassa e laguna.

Un meticciato

Linee sottili, che corrono sulle labbra di molte lingue: Friulano, Sloveno, Italiano, un tempo anche Tedesco ed Ebraico. Capaci di straordinari sincretismi e meravigliate policromie nella semantica del loro ricchissimo vocabolario, nei prestiti linguistici, nella musica delle parole. Un meticciato dunque che rende ricca e varia anche la nostra cucina: fatta di pane e di polenta, di verze e di bolliti; bevitori di vino e di birra, così, democraticamente, senza prendere una netta posizione in merito. Siamo un crogiolo che nei secoli si è stratificato, impastandosi in architetture culturali e umane ricchissime e variegate. La nostra vera e più inestimabile ricchezza.

Una festa di tutti

In tempi tristi e difficili come i nostri, in cui sono in molti coloro che per paura o per ignoranza si ostinano a voler “tirare sui muri”, noi possiamo davvero essere un esempio ostinatamente contrario. Per questo Go2025 deve essere la festa di tutti, in cui tornano ad abbracciarsi le anime di quella che da sempre è stata una sola città, un unico territorio. Anche se qualcuno si ostina a dimostrare il contrario.

I ragazzi della frontiera

Un sogno? Che siano le nuove generazioni a esserne protagoniste assolute. Non i grandi teatri, non le orchestre costose. Ma le ragazze e i ragazzi della Frontiera. Loro sì capaci davvero di far brillare il futuro sotto le loro ciglia. Saprebbero scardinare l’assurdità di un confine che torna a essere presidiato. Griderebbero parole di giustizia in faccia ai severi guardiani d’Europa, qui, sulla bocca disperata della rotta balcanica. Darebbero volentieri il foglio di via a certi “cittadini onorari” scomodi e imbarazzanti in una festa che sa di pace, cultura e inclusione. Perché noi siamo la dimostrazione più evidente che convivere nella pluralità non soltanto è possibile, ma rende di fatto migliore la vita. Se non altro regala alla memoria un giro d’orizzonte che pare infinito. E scusate se è poco. 

 

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