Le targhe dei luoghi raccontano storie: Volcic oltre i confini
I Giardini pubblici di Gorizia intitolati al maestro di cronache e approfondimenti. Lo sguardo costante sull’Est europeo da corrispondente e da parlamentare
Le strade parlano, nei nomi incisi sulle loro targhe raccontano vecchie storie. Ma quelle vecchie storie siamo noi, per quanto possiamo esserne inconsapevoli. Storie fatte di uomini del passato e delle loro azioni, che hanno condotto al nostro presente. Tutto sta ad assumere buoni esempi, specie in tempi grami e cupi.
Esempi cui ispirarci, per respirare un’aria diversa da quella mefitica narrata - per esempio - proprio in questi giorni dalle immagini incivili e però orgogliosamente diffuse dal neo governo americano di uomini in catene trascinati nella pancia di un aereo militare per essere “deportati” nel loro paese d’origine.
Demetrio Volcic con la sua vita ha raccontato altre storie. Di Demetrio Volcic e della sua storia e della sua testimonianza di uomo politico, di giornalista Rai e da ultimo anche editorialista di questo giornale, vogliamo qui parlare.
Perché a una manciata di giorni dall’inaugurazione di “Gorizia-Nova Gorica capitale europea della cultura” a Volcic viene dedicata una targa, all’interno del Giardino pubblico.
Non è una scelta ordinaria e ne va riconosciuto il merito in primis al sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, che dimostra l’importanza di coltivare la memoria: esercizio della mente, tutt’affatto diverso dai percorsi emozionali del ricordo.
Far memoria di Volcic, nato a Lubiana il 22 novembre 1931 e morto a Gorizia il 5 dicembre 2021, oggi ci aiuta a leggere il nostro presente.
Se la “capitale europea della cultura” consiste in un doppio polo transfrontaliero, a cavallo di una fu-linea di confine che a guardarla su una carta geografica somiglia al taglio di una ferita, conviene essere grati a chi - come Volcic - ha agito e portato riflessioni per suturare la ferita inferta dalle due guerre mondiali. Una ferita che non stava solo sulle mappe, ma soprattutto tra i popoli e dentro ai popoli affacciati alla frontiera.
L’espressione “rivale” etimologicamente configura interessi e posizioni di due opposte rive di un corso d’acqua. Ma sul Carso e sul Collio, e poi giù fino al mare, i popoli erano mescolati e frammisti, sia pure talora composti per cellule pseudo-autarchiche e auto-difensive. Dunque la rivalità è stata essenzialmente un gioco e anzi una speculazione delle opposte parti politiche, a tutto interessate fuorché alla onesta coltivazione degli interessi dei popoli e a onorare una storia multiforme e multicolore. L’interesse supremo sta tutto in una parola: pace. Che ha etimo comune con la parola “patto”, insomma con la necessità di negoziare e di riconoscere l’uno le ragioni dell’altro. L’inverso di guerra, sia pur guerra fredda, che ha impiombato i cieli e le vite degli uomini per decenni lungo la cortina di ferro che transitava e tagliava a metà piazze e giardini di Gorizia.
Ormai vent’anni or sono, Volcic è stato tra i protagonisti - era allora europarlamentare e tecnicamente “reporteur” - nella costruzione del “patto” all’origine del processo di allargamento dell’Unione europea alla Slovenia.
In effetti, il Consiglio dell’Unione europea ha approvato il 1º maggio 2004 l'adesione di Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e appunto Slovenia, seguiti sei mesi dopo da Romania e Bulgaria.
A parte Cipro e Malta, i paesi entrati nell’Ue vent’anni fa sono affacciati alla linea di faglia tra Europa Occidentale e area russa, una sorta di terra di mezzo per dirla con Milan Kundera (secondo il suo fulminante saggio “Un Occidente prigioniero”).
Una terra di mezzo con cui, nel suo itinerario da giornalista Rai lungo trent’anni, Demetrio Volcic ha fatto quotidianamente i conti, con reportage e corrispondenze memorabili da Mosca, Vienna, Praga, Budapest.
Il giornalismo, secondo una celebre definizione, è spesso storiografia dell’istante. Ma nel caso di Volcic il suo impegno professionale non ha dipanato una successione di foto, piuttosto un film di cui è stato regista sapiente, ironico e tenace, specialmente nella lunga e indimenticata stagione da corrispondente da Mosca.
La sua conoscenza dei fatti non era “de relato”, ma esito della frequentazione di lungo periodo dei massimi leader, da Gorbaciov a Eltsin e Shevardnadze, da Genscher a Jaruzelski. Una fitta rete di relazioni e un prezioso patrimonio di conoscenza, essenziale da direttore del Tg1 e poi nella missione da senatore e da europarlamentare.
Torniamo al Giardino pubblico. Su questo ampio parco pienamente intonato al clima mitteleuropeo della nobile Gorizia, al civico 18 di via Dante, affaccia la casa abitata da Demetrio Volcic nei suoi ultimi anni. La targa dedicata a Volcic è stata collocata esattamente là dove vi è una grande fontana rotonda, all’incontro di quattro sentieri: Demetrio sapeva mettere assieme prospettive diverse, senza pregiudizi e senza ideologie, con equilibrio e disincanto.
Perché a quel crocicchio vi sia la definitiva intitolazione “Largo Demetrio Volcic” occorre ora attendere una deroga alla legge sulla toponomastica, che prevede trascorra almeno un decennio dalla morte della persona cui si intende dedicare un luogo pubblico. Ma conta intanto che Gorizia faccia memoria sulla figura di un uomo che, nato a Lubiana, vissuto a Mosca, Vienna, Parigi, Roma, ha deciso di concludere la sua vita sulle sponde dell’Isonzo, dove aveva profonde radici familiari e personali.
Sospetto che, nel microcosmo di Gorizia, Volcic avvertisse la sintesi e il simbolo dei fermenti culturali e delle contraddizioni e delle ferite e delle potenzialità con cui si era confrontato lungo la sua parabola fra Grande Russia e Occidente prigioniero. Gorizia come Berlino, per decenni tagliate da un muro.
A lui dobbiamo vigilanza rispetto alle conquiste maturate, perché il superamento dei confini - in una stagione della storia come l’attuale - non possa essere materia di ottusi dietrofront. Grazie Demetrio, hvala Mitja.
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