Verso il 2025: il futuro riparte da tre fronti aperti

Il declino dell’asse franco-tedesco, le prossime mosse di Trump presidente Usa e la democrazia che arranca: siamo nell’era delle certezze che si sgretolano

Luca UbaldeschiLuca Ubaldeschi
Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz
Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz

L’anno che si chiude ci consegna una consapevolezza: il progressivo sgretolamento di alcune fra le principali certezze intorno alle quali il nostro Paese e una buona fetta del mondo occidentale hanno costruito l’assetto dopo il secondo conflitto mondiale.

Consideriamone tre, cominciando da uno sguardo sull’Europa, visto che siamo all’inizio di una nuova stagione dopo il voto di giugno. L’Ue si è sempre retta sull’asse tra Germania e Francia, una leadership non immune da critiche ed errori, certo, ma che ha comunque rappresentato un punto di riferimento costante.

Il primo fronte

Quei due Paesi, oggi, sono però impantanati in una grave crisi politica destinata a prolungarsi per almeno metà del prossimo anno. La Germania andrà al voto a fine febbraio e avrà poi bisogno di tempo per definire la coalizione e il programma di governo. La Francia, già ostaggio di un esecutivo estremamente debole, è invece costretta dalle sue regole costituzionali ad aspettare luglio prima di richiamare i cittadini alle urne e sperare in una maggioranza sostenuta da un reale consenso.

In una stagione di gravi crisi internazionali, l’Europa rischia dunque di marginalizzarsi ulteriormente, dal momento che per sei-sette mesi Berlino e Parigi dovranno occuparsi prevalentemente di problemi interni, aggravati da una frenata dell’economia che si riverbera sui partner, come l’Italia sta amaramente sperimentando.

Una crisi seria: la Germania ha oggi una forza economica pari a quella che aveva all’inizio del Covid cinque anni fa, mentre nello stesso periodo la Francia è cresciuta in media meno dell’1% annuo.

Il secondo fronte

La seconda certezza investe i rapporti transatlantici, perché senza neppure aspettare l’insediamento alla presidenza Usa del 20 gennaio, Donald Trump ha già cominciato a metterne in discussione due pilastri, l’interscambio commerciale e gli accordi sulla Difesa.

Non è irragionevole pensare che, almeno verso l’Europa (diverso il discorso con la Cina), i proclami sui dazi possano essere ricomposti all’interno di una trattativa più generale su investimenti e acquisti, mentre appare più articolato il secondo fronte: la pressione per un maggiore impegno finanziario dei Paesi europei in ambito Nato è infatti fonte di evidenti divisioni politiche e gravi difficoltà per i bilanci nazionali.

E diventa ancora più urgente con l’avvicinarsi del terzo anniversario dell’invasione dell’Ucraina e le speranze di una trattativa che comincia a delinearsi anche se ha un profilo ancora incerto sui presupposti e sui possibili esiti.

Il terzo fronte

Il terzo fronte propone una preoccupazione ancora più profonda, perché ci parla di quella che possiamo chiamare la stanchezza della democrazia. Fa male anche soltanto ammetterlo: la forma di governo che da sempre consideriamo l’incontrastato ideale cui tendere, quel traguardo conquistato anche a costi enormi, mostra un passo incerto, che in Italia si manifesta attraverso una sempre maggiore astensione dal voto.

È un fenomeno che nasce come fatica di riuscire a interpretare le esigenze espresse da fette sempre più ampie delle nostre comunità. I bisogni sono cambiati, le risposte stentano ad adeguarsi: il risultato è un distacco crescente fra le persone e le istituzioni.

Una malattia grave, che contagia diverse aree del mondo, ma che per l’Italia si può curare in un modo soltanto. Riempiendo di contenuti nuovi un’offerta politica troppo spesso ingabbiata in una guerra di posizione che sfugge a un vero confronto di idee. Dal lavoro alla produzione, dalla scuola ai diritti, servono risposte convincenti di fronte a questioni da troppo tempo lasciate alla deriva.

Nessuno è così ingenuo dal pensare che si possa miracolosamente immaginare un repentino ravvedimento, una folgorazione collettiva della classe politica. Ma una circostanza autorizza a sperare che il 2025 possa almeno innescare qualche seme di cambiamento: le difficoltà sono diventate così tante e così urgenti che la loro coesistenza impone un esercizio di realismo. Quantomeno per spirito di conservazione.

La forza delle parole

È una questione di azioni, ma anche di parole che le devono ispirare. Le parole hanno una forza sorprendente: non a caso il dialogo è il presupposto indispensabile per la soluzione di ogni problema. Vanno quindi scelte con cura e ascoltate, perché non è detto che quelle che più piacciono a noi siano anche le più giuste.

In questo nostro speciale ne trovate alcune che riteniamo significative perché interpretano questioni di attualità, che toccano tutti e che possono essere utili per le sfide del 2025.

Un piccolo contributo per riflettere.

 

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