«Management, burocrazia, politica: ecco le scelte sbagliate di Milano-Cortina»
L’esperienza di Luciano Barra, che fu vicedirettore dei Giochi invernali del 2006: «Gli impianti? Ce la faranno, fondamentali i test event»
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Luciano Barra, lei è stato vicedirettore generale di Torino 2006. Vi arrivò solo due anni prima. Come mai così a ridosso dell’inizio?
«Venni chiamato da Mario Pescante che era sottosegretario allo sport. Subito dopo fu nominato Cesare Vaciago. Da City manager della città divenne direttore generale al posto di Rota e come Coo fu nominato Paolo Bellino, allora dirigente dell’assessorato allo sport. Ha fatto carriera, oggi è agli eventi di Rcs».
Quale fu la ragione di questa rivoluzione?
«Eravamo in ritardo, soprattutto sul versante degli sponsor, a parte quelli che aveva portato casa Agnelli. I Giochi non erano percepiti come un evento di tutto il Paese e anche la città sembrava freddina. Per fortuna che c’era Andrea Varnier, un manager preparato, che si accollò tutto il discorso della promozione e dell’immagine. Sono contento che sia lui l’amministratore delegato della fondazione Milano-Cortina perché sa come si fa».
A distanza di vent’anni e spostato sull’asse Milano-Cortina sembra di rivivere, almeno in parte, gli stessi problemi.
«Non sembra, è proprio così. Almeno tre errori che furono commessi a Torino sono stati ripetuti a Cortina».
E quali sono?
«Primo. Almeno inizialmente è stata sbagliata la scelta del management. A Torino, Rota e a Milano-Cortina, Novari. Professionisti sì, ma che non sapevano di sport e di grandi eventi. Nel 2004 cambiammo rotta perché c’era un grande sindaco, Chiamparino e un grande direttore generale, Vaciago. Chiamparino è un uomo pratico: prima ascoltava e poi agiva. Faccio un esempio: durante i giorni dell’Olimpiade erano previsti una serie di concerti che, tutte le sere, dopo le gare, avrebbero richiamato pubblico a Piazza Castello. Ma c’erano problemi di soldi e il governo non avrebbe potuto coprire completamente. Allora venne deliberato che le spese fossero accollate al Comune. E andammo avanti».
Passiamo al secondo errore.
«Si è perso troppo tempo dietro alla burocrazia per impianti e opere pubbliche. So bene che non si tratta di una responsabilità della Fondazione, come non lo era del Comitato organizzatore di Torino, perché Simico, che si occupa di MIlano-Cortina, è una società a parte. Tuttavia trattandosi di infrastrutture che poi rimangono, rappresentano la parte più importante del post Olimpiade. Abbiamo tanto criticato Atene. Ma in quella città i Giochi hanno lasciato un aeroporto, tre metropolitane e due circonvallazioni. E i cittadini che li usano risparmiano 40 minuti al giorno. Mi chiedo, cosa rimarrà di Milano-Cortina? Ha visto cosa ha scritto il Washington Post?».
No, che cosa ha scritto?
«Ha scritto che non si è mai vista un’Olimpiade estesa per centinaia di chilometri, da Milano fino ai confini con Svizzera e Austria. Tra Bormio e Cortina, dove si fanno le gare di sci maschile e femminile, ci sono cinque ore di macchina. Questa rischia di non essere un’Olimpiade, bensì sette campionati del mondo di discipline diverse, dislocate in regioni e province diverse. Ha letto quel che dice Federica Brignone?».
Cosa dice?
«Dice che ci sarà scarso spirito olimpico perché ognuno starà nella sua zona. Lo spirito olimpico non si respira alle gare, ma nel villaggio, vivendo fianco a fianco, mischiando esperienze».
Ma l’Olimpiade ha costi inverosimili, farla in maniera diffusa significa renderla sostenibile.
«Non c’è dubbio, Sochi e Pechino sono fuori portata e, forse, nessuno si potrà più permettere spese di quel genere. Ma ripeto: nel 2030 i francesi faranno Giochi diffusi, ma più compatti».
E siamo al terzo errore.
«Il terzo è l’errore della politica. Non usare la pista lunga del pattinaggio e quella del bob che furono di Torino è stato uno sbaglio. Il governo avrebbe dovuto imporsi, sarebbero stati risparmiati 120 milioni. Ha visto cosa hanno fatto i francesi pur essendo più nazionalisti di noi? Per l’Olimpiade del 2030, quella dopo la nostra, utilizzeranno la pista lunga di Torino. Detto questo, mi risulta che, nonostante le stringenti verifiche del Cio, la pista di bob di Cortina sarà pronta in tempo per i test event. So che la ditta Pizzarotti sta lavorando benissimo».
Il presidente uscente del Cio Thomas Bach dice che gli italiani, magari all’ultimo, ma ce la fanno.
«Gli impianti non devono essere pronti troppo tempo prima, perché si creerebbe il problema di chi li gestisce, di chi ne paga le spese, di chi si occupa del mantenimento e perfino delle pulizie. L’importante è rispettare le scadenze dei test event».
Si dice che le Olimpiadi di vent’anni fa abbiano cambiato Torino.
«Di sicuro hanno chiamato fuori di casa i torinesi anche per le molte manifestazioni collaterali che sono state organizzate. Ogni giorno era una festa. E la maggior parte dei torinesi, ma anche degli italiani, sono stati contagiati da gente arrivata da tutto il mondo. Insomma io credo che il Washington Post abbia ragione quando scrive che i Giochi olimpici avevano la pretesa di riunire i migliori atleti mondiali per imparare nuove culture, assaggiare nuovi cibi e, aggiungiamoci pure, parlare lingue diverse. Da questo punto di vista Torino è stata speciale, lasciando un’eredità concreta anche dal punto di vista culturale».
Se dovesse dare un merito al successo dei Giochi di Torino a chi lo ascriverebbe?
«Al sindaco Chiamparino e a Cesare Vaciago. Un politico e un manager che lavoravano in sintonia e, soprattutto, erano in grado di affrontare i problemi per risolverli. Il presidente del Comitato organizzatore era l’ex sindaco Valentino Castellani, autentico gentiluomo. Fu una grande esperienza».
Chi è
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Luciano Barra, 83 anni, romano, è stato per 18 anni braccio destro di Primo Nebiolo alla Federazione atletica leggera, della quale è stato segretario generale per 20 anni. Direttore generale del Coni dal 1993 al 2003, è stato vicedirettore generale all’Olimpiade di Torino 2006. È stato consigliere della Federazione europea di atletica.
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