Piller Cottrer: «Mi piace l’idea di un’Olimpiade diffusa. Gareggiare in Italia è magico»
L’oro di Torino 2006 lancia gli azzurri: «Disputare una Olimpiade nel tuo paese è una fortuna e un onore che non tutti possono avere»
![Il sappadino Pietro Piller Cottrer esulta dopo l’oro conquistato nella staffetta 4x10km ai Giochi di Torino 2006](https://images.ilnordest.it/view/acePublic/alias/contentid/1h194kxqxqnygu4yms5/0/copia-di-copy-of-image_7987099.webp?f=16%3A9&w=840)
Ci sono le Olimpiadi all’orizzonte delle montagne bellunesi e la mente corre agli atleti dolomitici che sono stati capaci di conquistare un alloro olimpico. Soprattutto nello sci di fondo, la specialità che più ha regalato soddisfazioni.
La prima medaglia olimpica per la provincia arrivò dal Canada: merito di sua maestà Maurilio De Zolt, che a Calgary 1988 conquistò l’argento, terminando al secondo posto la 50 chilometri vinta dal “cigno” svedese Gunde Svan.
Anche l’ultima medaglia bellunese negli sci stretti è arrivata dal Canada, ancora un argento: merito di Pietro Piller Cottrer, il talentuoso carabiniere sappadino, sopraffino interprete della tecnica libera, secondo alle spalle dell’elvetico Dario Cologna nella 15 chilometri skating ai Giochi di Vancouver 2010.
Pietro, cominciamo proprio da qui, dalla sua ultima Olimpiade.
«Vancouver fu l’Olimpiade dell’esperienza. Quelli canadesi erano i miei quarti Giochi, avevo 35 anni e la giusta consapevolezza di quello che avrei potuto o non potuto fare. Sapevo quello che volevo e alla vigilia della 15 chilometri non mi nascosi: arrivò l’argento, una ventina di secondi dietro Dario Cologna, un argento che – lo dico sempre – vale oro. Fu una medaglia cercata, voluta, programmata e, proprio per questo, bellissima».
Facciamo un salto indietro a andiamo alla sua prima Olimpiade, quella di Nagano 1998.
«Se Vancouver fu l’Olimpiade nella quale raccolsi i frutti dell’esperienza, quelli giapponesi furono i Giochi che mi permisero di fare esperienza. La stagione precedente avevo vinto in Coppa la 50 chilometri di Oslo–Holmenkollen, avevo grande attesa e per essere “titolari” nelle diverse gare c’era anche grande competizione tra noi azzurri. Presi parte solo all’ultima gara (la 50 chilometri, nella quale una caduta in discesa gli precluse i sogni gloria, ndr) e non fu facile rimanere lì tanti giorni senza gareggiare. Fu un’esperienza dalla quale uscii più forte, soprattutto dal punto di vista mentale. Di quell’Olimpiade ricordo anche la grande organizzazione e professionalità dei giapponesi».
A Salt Lake City la prima medaglia e una medaglia…sfiorata.
«La stagione precedente avevamo gareggiato in Coppa e la quota, senza alberi, ci aveva messo in difficoltà. Per i Giochi qualche idea in testa ce l’avevo, mi stuzzicava la 30 chilometri in pattinato. Arrivai quinto (poi quarto per la squalifica del vincitore Johann Mühlegg), a un decimo dal bronzo. Mi consolo pensando che il bronzo finì al norvegese Kristen Skjeldal, un grande amico, e che dietro di me si piazzò un altro grandissimo norvegese, il “cannibale” del biathlon Ole Einar Bjørndalen. Arrivò comunque la prima medaglia, l’argento in staffetta dietro la Norvegia. Tanta roba. Tanta roba fu anche l’avere accanto a me, nonostante la distanza, mia moglie Francesca: e dopo l’argento annunciammo che stavamo aspettando il primogenito, Fabio».
Ma Salt Lake fu anche l’Olimpiade in cui “Cater Piller” divenne “Silver Finger”.
«In autunno, facendo legna, mi ero tagliato un dito, rischiando di saltare l’appuntamento olimpico. Sarebbe stato un sacrilegio ma per fortuna riuscii a recuperare. Quando vincemmo l’argento, il fisioterapista Claudio Saba per festeggiare si inventò il dito gigante e la scritta Silver Finger».
L’Olimpiade più bella?
«Quella in Italia, Torino 2006. Se gareggiare ai Giochi è il sogno di ogni atleta, disputare una Olimpiade nel tuo paese è una fortuna e un onore che non tutti possono avere. A me è capitato e, al di là delle due medaglie vinte, la cosa che mi porto nel cuore è la magia di essere in Italia, circondati da tifosi italiani, organizzatori e volontari italiani. Mi piace dire che a Torino l’Italia era con noi e se dovessi trovare un aggettivo dico che l’Olimpiade del 2006 è stata magica».
Vent’anni dopo Torino i Giochi ritornano in Italia. Le piace la formula di un’Olimpiade diffusa?
«Devo dire la verità: sì, mi piace. Credo che in questo modo vengano valorizzate le grandi professionalità che sono cresciute nei territori, la tradizione specifica delle singole discipline e le strutture in esse realizzate nel corso degli anni».
Pietro Piller Cottrer ci sarà?
«Mi piacerebbe. Vedremo in quale ruolo. Le ultime due, Pyeongchang e Pechino, le ho vissute, pur a distanza, da commentatore Rai, insieme a Sabrina Gandolfi e Tommaso Mecarozzi. Per il 2026 vedremo». —
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