Zico a Sport Business Forum: «La mia vittoria a Udine è stata la gioia della gente»

Al festival organizzato dal Gruppo Nem a Treviso, il fuoriclasse brasiliano ha raccontato la sua esperienza in Italia all’Udinese. A fargli da contorno i suoi compagni di allora Galparoli, Miano, Gerolin e Pradella. «Il mio approdo in bianconero ha aperto una strada al club per crescere»

Massimo Meroi
Zico sul palco dello Sport Business Forum a Treviso
Zico sul palco dello Sport Business Forum a Treviso

«Al Flamengo sono stato vent’anni e ho vinto tutto, a Udine solo due e non ho alzato alcun trofeo. In Friuli la mia vittoria è stata regalare gioia alla gente». Arthur Antunes Coimbra, detto Zico, uno dei più grandi calciatori della storia, ha concluso così il suo intervento a Palazzo Giacomelli, nel centro di Treviso, per la prima giornata di Sport Business Forum organizzato da Nem.

Zico, anche oggi che ha 72 anni, è una star. A Rio de Janeiro muove le folle, in Italia i numeri sono inevitabilmente inferiori. Eppure giovedì 5 giugno ad attenderlo a Treviso c’erano parecchi connazionali che volevano strappargli un selfie o un autografo sulla maglia della Seleçao o del Flamengo. Mescolato tra la gente anche Lulu Oliveira, attaccante belga con un passato in Italia in molte squadre, su tutte il Cagliari e la Fiorentina. «È sempre stato il mio idolo e volevo conoscerlo», ha detto.

Zico, come sua abitudine, si è prestato con grande disponibilità prima di cominciare a raccontare la sua storia friulana e poi brasiliana in una sorta di corsa a ritroso nel tempo. Prima di cominciare c’è stato un doveroso omaggio a Enzo Ferrari, l’allenatore dell’Udinese di Zico, originario di San Donà e scomparso lo scorso 11 maggio. In platea, in prima fila, quattro suoi compagni in bianconero: Dino Galparoli, Paolo Miano, Manuel Gerolin e Loris Pradella che hanno accompagnato Zico in questo viaggio.

Si è partiti dalla seguente riflessione. Quando nelle nostre vite capitano degli eventi straordinari (e purtroppo spesso l’aggettivo straordinario coincide con tragico, basti pensare a un terremoto o all’attacco alle Torri Gemelle) tutti noi ci ricordiamo dove eravamo. Ecco, i tifosi dell’Udinese, e forse non solo loro, si ricordano dov’erano il giorno in cui uscì la notizia che quella piccola squadra del Nord Est aveva acquistato quello che allora con Platinì e Maradona veniva considerato il più forte calciatore al mondo.

Zico, lei arrivò all’Udinese nel 1983. Cosa conosceva di Udine?

«Ero venuto in Friuli un paio di anni prima per un’amichevole benefica, l’obiettivo era quello di aiutare le popolazioni terremotate dell’Irpinia. Fu un evento complesso da organizzare, la federazione brasiliana non voleva nemmeno farci partire. Alla fine raggiungemmo l’Italia in 14, e in panchina venne a fare numero Paolo Miano. Da cosa rimasi impressionato? Dal freddo. Era gennaio».

Perché a trent’anni lasciò il Flamengo?

«Fosse dipeso da me non me ne sarei mai andato, fu “colpa del regolamento”. Io avevo già alle spalle dieci anni con il Flamengo, il contratto era in scadenza e se avessi rinnovato per altri due, al dodicesimo me ne sarei andato a zero. Il presidente del Flamengo, per incassare qualcosa, preferì vendermi e l’unico club che si fece avanti in maniera concreta fu l’Udinese».

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Non lo impauriva la scelta di andare in provincia a sfidare gli squadroni metropolitani?

«No, anche perché la struttura della squadra era buona, c’erano molti giovani che poi avrebbero fatto una grande carriera andando a giocare in società di primissima fascia: Gerolin, De Agostini, Mauro, Miano. Nel tempo, con dei ritocchi, avremmo davvero potuto lottare per lo scudetto. Purtroppo il progetto si sgonfiò all’inizio del girone di ritorno con la lite tra il presidente Mazza e Dal Cin. Comunque non mi sono mai pentito di quella scelta».

Di quei giorni si ricorda la sua passerella per il centro di Udine su una Fiat Torpedo del 1924. Le mamme le consegnavano in braccio il pargolo per una foto, la gente le lanciava magliette, sciarpe e palloni.

«Quello fu il mio grazie per l’accoglienza ricevuta. Rimasi più impressionato dal cartellone esposto in piazza il giorno della mia presentazione sul quale c’era scritto “Zico o Austria”. Era un messaggio forte, fortissimo, io ero un semplice calciatore straniero, il mio ingaggio ufficiale era ancora in bilico, mancava l’ok della federazione».

Il suo arrivo fu considerato dal popolo friulano una sorta di rivincita sociale dopo il dramma vissuto con il terremoto. E si sognò davvero lo scudetto.

«Fece crescere noi giovani, ma soprattutto cambiò la nostra mentalità», sottolinea Manuel Gerolin. Dino Galparoli rimarca un altro particolare: «Mi rivedo molto in come Zico sia rimasto legato al Friuli, io all’Udinese ci sono stato per nove anni, ho rifiutato alcune offerte pur di restare lì». L’ex attaccante Loris Pradella, vice di Virdis, scherza: «In coppia abbiamo fatto 20 gol nella stagione ’83-’84: 19 Zico e 1 io...». Paolo Miano ricorda la sua rete all’Inter: «Zico alle spalle continuava a dirmi di tirare e io invece, saltai cinque giocatori segnando a porta vuota perché avevo la palla sul sinistro che non era esattamente il mio piede forte».

Zico, lei arrivò a Udine nel pieno della maturità, aveva trent’anni e a venti aveva indossato la maglia numero 10 del Flamengo senza più togliersela.

«Sono sempre stato tifoso rossonero, mio padre mi ha trasmesso la passione per quella squadra».

Lei era l’ultimo di sei figli, sin da piccolo si vedeva che era talentuoso. Approdò nel vivaio del Flamengo a 13 anni. Si è costruito con pazienza e sacrificio da un punto di vista fisico. Il segreto?

«Papà mi ha trasmesso il rispetto e la passione per il proprio lavoro. Lui faceva il sarto e voleva che ogni suo vestito fosse sempre perfetto».

È vero che il signor Luis non l’ha mai visto giocare dal vivo al Maracanà?

«Verissimo. Era allo stadio nella finale Mondiale del 1950 quando il Brasile perse con l’Uruguay e promise che non ci avrebbe mai più messo piede e così ha fatto».

Si è perso così qualcosa come 334 gol che lei ha segnato in partite ufficiali, ma c’è un aneddoto delicato legato a suo padre che ci può raccontare, vero?

«In occasione di una festa del papà quando mi hanno portato al Maracanà con la scusa di registrare uno spot. In realtà mi ritrovai, grazie all’intelligenza artificiale, in mezzo al campo con una foto di mio padre sullo schermo e la sua voce riprodotta che mi chiedeva di segnare davanti a lui il gol numero 335. Un’emozione fortissima».

Chiudiamo parlando con l’amicizia tra lei e i ragazzi di Orsaria, paese di 900 anime. Questa sera festeggerete il 40º anniversario del club Arthur Zico e ci sarà un’altra sorpresa per lei.

«Non avrei mai immaginato che potesse nascere un simile rapporto, non so se è stato il destino o cos’altro, ma mi sento un privilegiato perché si tratta di qualcosa che va oltre il calcio. A Udine non ho alzato trofei, la mia vittoria è stata regalare gioia alla gente». Applausi. 

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