Matteo Marzotto: «Il bello e ben fatto può migliorare il mondo»
L’imprenditore racconta l’avventura di MinervaHub, che lavora per tutte le grandi griffe. «Oggi c’è una tempesta perfetta sull’alto di gamma, i prezzi erano saliti in modo eccessivo»

Un piede nella tradizione, l’altro nella sfida dell’innovazione.
E una traiettoria che attraversa il tessile, il lusso, il private equity, fino alla manifattura industriale dell’alto di gamma. Matteo Marzotto, presidente di MinervaHub, racconta così la sua ultima avventura imprenditoriale:
«Per me è un ritorno alle origini. Ho iniziato con la mamma Marzotto, quando era uno dei grandi gruppi mondiali del tessile e dell’abbigliamento. Ho vissuto e anche sofferto l’impresa familiare. A un certo punto, per respirare, ho dovuto trovare una mia strada».
MinervaHub, nata in piena pandemia, è oggi un gruppo da 25 aziende acquisite in pochi anni lungo tutta la filiera degli accessori di lusso – borse, calzature, componentistica. Circa mille clienti globali, dai grandi marchi del fashion ai brand emergenti. Un modello che Marzotto definisce «personal private equity: ci ho messo la faccia, le risorse, i valori. Ho trovato compagni di viaggio formidabili, come la famiglia Garrone, Erg, i Mondini, San Quirico. È un capitalismo familiare rivisitato».
Oggi il gruppo affronta una nuova fase.
«C’è una tempesta perfetta sull’alto di gamma. I prezzi erano saliti troppo, la crescita era drogata. Ma oggi il mercato è un po’ troppo severo nei giudizi. Noi facciamo la miglior manifattura del mondo: precisa, replicabile, impeccabile. E abbiamo una missione: rendere il lusso sostenibile anche nella filiera, formare nuove competenze, innovare senza snaturare la qualità artigianale».
Nel 2022, spiega, «abbiamo vissuto un anno eccezionale. Ma era un picco. Se tracciamo la curva dal 2018 al 2025, la tendenza resta in crescita. Il bello e ben fatto può ancora cambiare il mondo, o almeno renderlo migliore».
Dietro MinervaHub c’è una visione chiara.
«Un tempo il lusso era per 800 milioni di persone. Oggi è potenzialmente infinito».
Lo scenario globale, però, non è privo di insidie.
«I dazi sono un problema. La mia vera paura? Finire abbracciati alla Cina. È un mondo che non conosco, forse sono solo troppo vecchio. Ma resto convinto che il nostro mestiere sia bello, utile, e vada fatto bene. E con coraggio».
Dietro le strategie industriali, la spinta personale. «Forse è il peso di una storia lunga cinque generazioni. O forse è il mito che mi sono fatto di mio nonno: un costruttore di futuro. Io credo ancora nei valori umani, quelli veri. Conta essere quello che si è, non quello che si ha».
Marzotto lo dice con fermezza, con una punta di emozione. «Ho perso una sorella per fibrosi cistica. La Fondazione è un piccolo miracolo, ma è una storia collettiva. La leadership può essere anche soft. Non serve mostrare i muscoli».
Poi sorride: «Trump mi fa ridere. Ma anche un po’ paura. Siamo cresciuti filoamericani. Io ho vissuto in America. Pensare che un giorno potremmo diventarne i competitori mi inquieta». —
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