L’economista Münchau: «Il declino tedesco può durare a lungo. La soluzione? Una Ue più unita e libera»
Wolfgang Münchau, autore di “Kaput. La fine del miracolo tedesco” sabato 15 marzo sarà a Treviso per il Festival Città Impresa: «Le regolamentazioni europee sono come maxi dazi». Ecco come iscriversi all’evento

«I produttori di automobili europei perderanno la loro posizione di mercato. La miglior strategia da mettere in campo, per loro, sarà quella di diventare junior partner in joint venture con i produttori di auto cinesi». Parole dell’economista tedesco Wolfgang Münchau, uno dei maggiori esperti mondiali di Eurozona. «Questo può ancora essere redditizio, ma i grandi profitti sono persi per sempre».
Dà risposte schiette Münchau, come diretto e provocatorio è lo stile del suo ultimo libro: “Kaput. La fine del miracolo tedesco” (Post Editori).
L’opera, lettura utile a comprendere il futuro della Germania, ma anche quello dell’intera Europa, sarà presentata sabato 15 marzo alle 18 a Palazzo Giacomelli, a Treviso.

Secondo il noto economista, nemmeno il piano d’azione europeo per l’automotive può bastare: «Il problema è che la Cina è molto più competitiva nelle auto elettriche rispetto agli europei. Hanno iniziato prima. Si sono assicurati il controllo sulla filiera delle batterie. E, cosa più importante, sono molto più avanti nella tecnologia di prossima generazione dell’intelligenza artificiale per le auto a guida autonoma. A mio parere, la Commissione Europea non dovrebbe sostenere l'industria automobilistica, ma aiutare l'Europa a diversificare il suo mercato in nuovi settori. L'industria automobilistica è persa, a causa di errori commessi dalla stessa Commissione».
Errori che Münchau ha ben chiari. «Il mercato unico dell’Ue si è trasformato in un progetto di regolamentazione dal 2014 in poi. In precedenza, si basava su un progetto di liberalizzazione. Questo trend deve essere invertito. È l’unico modo per recuperare terreno. Mario Draghi ha scritto che l’effetto della regolamentazione è simile a quello di una grande tariffa interna, più grande di qualsiasi dazio imposto da Donald Trump».
Secondo l’economista, oltre a puntare su flessibilità e liberalizzazione, «l’Ue deve creare una vera e propria unione fiscale, con una garanzia di debito comune, una vera e propria unione bancaria e, soprattutto, un’unione dei mercati dei capitali. Senza di essa, l’Unione rimarrà bloccata in un sistema di industrie vecchie e in declino, invece di investire in nuovi settori».
Su come affrontare i dazi di Trump, dice che «i grandi dazi commerciali che Trump imporrà all’Europa sono il prossimo shock che sta per arrivare: la Germania è particolarmente esposta. L’Europa però non dovrebbe reagire. Poiché abbiamo un surplus commerciale molto ampio nei confronti degli Stati Uniti, non vinceremo mai una guerra commerciale. Su questo fronte dovremmo semplicemente non fare nulla e iniziare ad affrontare il problema di fondo della nostra dipendenza dagli Stati Uniti, ovvero della sovra-dipendenza dalle industrie orientate all’esportazione».
Per il direttore di Eurointelligence.com l’Europa ha bisogno piuttosto di una politica economica pragmatica: «Dobbiamo passare da una politica estera basata sulle relazioni a una politica basata sugli interessi. Se gli Usa si allontanano dall'Europa, non vedo perché l'Europa non dovrebbe avere una relazione più stretta con la Cina».
Con la nuova guida del cancelliere in pectore Friedrich Merz, possono cambiare gli scenari? «Sono scettico sul fatto che la nuova coalizione tra il Cdu-Csu (conservatori) e Spd (centro-sinistra) possa portare i cambiamenti di cui la Germania ha bisogno. Hanno concordato di eliminare di fatto il freno al debito, esentando la spesa per la difesa dalle regole fiscali sul debito pubblico e creando un enorme fondo di riserva dedicato alla spesa corrente e agli investimenti futuri. Così la Germania cambia una regola più restrittiva rispetto a quella di tutti gli altri Paesi in Europa, con una più flessibile, è vero. Ciò creerà molto margine fiscale, certo. Ma la Germania, con questo meccanismo, potrebbe facilmente ritrovarsi con deficit annuali più elevati dell'Italia, nonostante i suoi livelli di debito complessivo siano molto più bassi».
«Il problema più grande», dice Münchau interpellato su cosa sarebbe meglio fare, «è che la Germania non sta utilizzando le potenzialità che ha, con il margine fiscale di cui dispone, per le riforme. La nuova coalizione ha ridotto l’Iva sui ristoranti, ha reintrodotto i sussidi per il gasolio agricolo e per i pendolari che percorrono lunghe distanze in auto e ha aumentato il salario minimo da 12,8 a 15 euro. Questi sono soldi spesi, certo, ma non riforme».
La speranza è l’ultima a morire. Possiamo sperare nel ritorno del miracolo tedesco? «C'è sempre speranza nella vita. È possibile che una futura coalizione tedesca possa dare priorità alla riforma dell’economia tedesca, come fecero ad esempio Margaret Thatcher nel Regno Unito e Ronald Reagan negli Stati Uniti. Ma Merz non è quel tipo di leader. Purtroppo non vedo nessun politico tedesco all’orizzonte che affronti nemmeno la questione».
Quale fotografia vede della Germania a breve e a lungo termine? «La Germania è un Paese molto ricco. Può avere un trend negativo per molto tempo, e continuare a essere un Paese ricco. La demografia della Germania, simile a quella dell'Italia, non rende il cambiamento molto probabile. È più probabile un declino graduale, per le ragioni che espongo nel mio libro. Il motivo più rilevante è che l'immagine speculare della società tedesca che invecchia è quella della tecnologia tedesca che invecchia. Non abbiamo leader nelle tecnologie del XXI secolo. Sarà difficile invertire la tendenza».
Difficile, non impossibile. «Sì, c’è un modo per invertire la tendenza. Ma l'unico modo che vedo è attraverso l'Europa. Sfortunatamente, ad oggi l'Europa non sta seguendo la strada giusta». —
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