La Venezia di Toscani nella sua ultima intervista: «Sfruttata da tutti»
Nell’agosto 2022 quasi 25 anni dopo l’uscita del numero della rivista Colors dedicata a Venezia il fotografo tornava a parlare della città che si svuotava di abitanti e riempiva di turisti: «Tanti veneziani la usano come fossero magnaccia»
Ripubblichiamo l’ultima intervista su Venezia rilasciata ai nostri giornali nell’agosto 2022.
Nell’agosto del 1999, quasi un quarto di secolo fa, quando Venezia aveva ancora più 65 mila abitanti, la rivista Colors pubblicata dal centro di ricerca Fabrica di Luciano Benetton, se ne uscì con un numero monografico su Venezia dal titolo How Much? Ovvero quanto? Nel senso di: quanto costa? Nello stile del suo direttore editoriale, Oliviero Toscani, quel numero dipingeva la città di Venezia come una società per azioni interessata solo al profitto e che, già all’epoca, andava svuotandosi di residenti.
"Ogni anno circa 1.000 veneziani abbandonano la loro città”, si leggeva nella sezione dal titolo “Esodo”, mentre il resto del volume era organizzato i capitoli che strizzavano l’occhio a un bilancio aziendale: risorse umane, capitale circolante, fusioni e acquisizioni. In città il dibattito era già aperto, ma quel numero di Colors scatenò molte reazioni. Alcuni ne apprezzarono lo sforzo di denuncia, in molti si arrabbiarono.
Toscani, perché fece quel numero?
«All’epoca ero il direttore editoriale della rivista. Bastava guardare un po’ lontano e immaginare quello che sarebbe successo».
Molti veneziani si arrabbiarono.
«Si arrabbiarono? Si incazzarono di brutto. Non tutti però, Massimo Cacciari all’epoca era sindaco e non si arrabbiò. Da persona intelligente ne capì il senso. Partecipò anche alla presentazione del numero».
E qual era il senso di quel numero?
«Era un modo per cercare di salvare Venezia. È come quando vai dal dottore e ti dice che hai un male».
Venezia non si è salvata?
«Per ora no. Tanti veneziani, non tutti ma tanti, usano Venezia come fossero magnaccia. La sfruttano. E per me è una vergogna. Conosco molte persone che hanno una seconda casa, la affittano, e vivono così, senza fare altro. Intanto la città è scesa sotto i 50 mila abitanti. E lo capisco bene. Chi vorrebbe vivere a Disneyland? Io no, non ci abiterei neppure dipinto. Il tessuto produttivo e commerciale è sparito, si trovano gli stessi negozi che si trovano in tutte le grandi città».
Le solite provocazioni, verrebbe da dire. E poi: anche lei con questo cliché che Venezia è morta.
«Ma io non dico che è morta, è vivissima. Infatti sta tornando a fare un sacco di soldi».
Farà incazzare tutti, di nuovo. Come con quella copertina in cui i piccioni si spartivano il grano in Piazza San Marco.
«A Venezia i turisti vengono spennati. C’è qualcuno che può dire il contrario? Io penso che Venezia sia non solo dei veneziani, ma di tutto il mondo. È una città su cui dovrebbe esserci l’impegno di tutto il mondo. Io, con quel numero, avevo lanciato un segnale, era un modo per salvare Venezia».
La sua riflessione sulla città è un po’ presuntuosa.
«Io sarei presuntuoso? Presuntuoso è prendere la patente e avere come prima auto una Ferrari. Questo capita a molti di quelli che stanno facendo soldi con il turismo a Venezia. Ereditando una città sulla quale non possono vantare alcun merito. Cosa è stato fatto a Venezia negli ultimi 100 anni? Lo ripeto: non vale per tutti i veneziani, ma non possiamo far finta che non ci sia anche questo».
Da gennaio entrerà in vigore la prenotazione obbligatoria con il contributo d’accesso.
«E ancora a parlare di soldi. Io invece farei entrare i turisti a Venezia solo dopo averli sottoposti a un test di cultura sulla città. Per fortuna che a Venezia, almeno, c’è la Biennale».
La Biennale la convince?
«È un luogo di produzione culturale, altrimenti cosa rimane?».
Venezia è ricca di associazioni, di persone che si danno da fare.
«Sì certo, ne conosco tante anch’io, ma sono la maggioranza? Soprattutto manca la spinta propulsiva dell’amministrazione, per una città come Venezia ci vorrebbe una guida rivoluzionaria, visionaria, non certo conservatrice come l’attuale. I conservatori non portano mai nulla di buono. L’ultima amministrazione ad avere una visione sul futuro della città è stata quella guidata dal sindaco Cacciari».
E cosa dovrebbe fare un’amministrazione con visione?
«Per me Venezia dovrebbe essere la capitale degli studi di architettura. Attenzione però, non penso a un ghetto, a una città solo di studenti. Ma a una città in cui gli studenti si integrano con i residenti».
Ha progetti in corso sulla città?
«Il festival di foto a San Servolo l’ho portato io, andando a parlare direttamente con Arles, il più grande festival che c’è. Avevo un progetto con Marina Abramovich, che ho proposto nello spazio delle Procuratie Vecchie delle Generali, ma me l’hanno bocciato perché l’hanno ritenuto troppo forte. A Venezia, in molti mancano di fantasia, come accadde per quasi tutti quelli che nascono ricchi». —
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