Storica, lagunare, funzionale e metropolitana: Venezia si fa in quattro, ma è l’ora di scegliere

Il futuro sta tutto qui: nell’evitare che prevalga lo strabismo che vede la città storica ma non quella “funzionale”: il solo organismo, poco visibile anche perché privo di rappresentanza politico amministrativa nel quale si esprimono i veneziani, visibili e invisibili

Paolo CostaPaolo Costa

Una cosa è l’urbs, altra cosa è la civitas, scriveva Leonardo Bruni nel 1535: «l’urbs è l’aggregato degli edifici e delle mura che cingono il luogo dove questi sorgono, mentre la civitas è la congregazione di coloro che lì vivono legati da vincoli sociali regolati dalle stesse leggi».

È da qui che bisogna partire per capire la Venezia di oggi e le sue geografie. Nel XVI secolo la distinzione tra città «congregazione dei cives» e città «aggregato dei loro edifici» poteva apparire oziosa: dove vivevano i cives – che lavoravano e abitavano entro le stesse mura – lì c’era l’urbs.

La coincidenza civitas-urbs si rompe e si ricompone continuamente nell’era moderna. In quella fase anche l’urbs si espande “oltre le mura” per organizzare la città delle fabbriche e specializza le sue parti separando i luoghi di lavoro dai luoghi di residenza: l’urbs diventa l’aggregato che comprende sia gli edifici (e i luoghi) di lavoro – dove il civis opera “di giorno”– sia quelli, edifici e luoghi, di residenza – dove il civis riposa “di notte”.

È l’uso congiunto dei luoghi del lavoro e della residenza che crea funzionalmente il “vincolo sociale” tra i cives. Il riconoscimento di questa corrispondenza biunivoca “funzionale” tra città-civitas e città-urbs diventa di meno nel caso delle città cresciute, come Venezia, attorno a un “centro storico”.

La radice di ambiguità e fraintendimenti sta nell’ambivalenza del valore, prima culturale e poi economico, riconosciuto alla “forma” delle città-urbs ereditate dalla stagione premoderna.

Oggi i “centri storici” sono un bene (culturale) pubblico da preservare nel rispetto del “genio dei padri”, ma anche da far vedere sfruttando la “curiosità dei foresti”; anche a rischio di quell’overtourism di cui oggi si discetta.

Una situazione che produce un capovolgimento di prospettiva – una inversione di metonimia– per la quale è l’Urbs storica – cristallizzata nella forma che definisce il bene culturale da preservare – a pretendere velleitariamente di definire la sua Civitas che si vorrebbe – “dentifricio reimmesso nel tubetto”– contenuta “entro le mura”.

Una abbagliante inversione metonimica che a Venezia è figlia del fatto che per “disposizione della divina provvidenza” le sue mura pre-moderne erano costituite dalle acque della laguna. Aquis pro muro che sembravano poter isolare Venezia dal resto del mondo e consentirle una risposta tutta sua al moderno.

Alle sue altre singolarità Venezia ha a lungo cercato di aggiungere quella utopica di far vivere in epoca moderna la simbiosi medioevale tra civitas e urbs. La rottura ormai innegabile di questa simbiosi, traumatica paradossalmente proprio perché normalizza Venezia nell’incontro con il “moderno”, si produce solo con la nascita di Porto Marghera nel 1917. Dal 1917 a metà degli anni ’70 dello scorso secolo Porto Marghera guida l’allargamento di Civitas ed Urbs in una comune “area urbana funzionale” che si va estendendo in terraferma. Ma in una forma che la laguna, le “mura d’acqua”, rende complicata.

La cesura lagunare si dimostra decisiva nell’impedire a Venezia storica di mantenere il ruolo di centro dell’intera area urbana funzionale. La difficoltà di raggiungere il “centro” – che ci si rifiuta di superare con le tecnologie, metropolitana sublagunare, che stavano sostenendo lo sviluppo delle maggiori città europee –– spinge la civitas veneziana al tentativo, fallito, di ricrearsi un altro “centro” al di là della laguna.

Gli effetti sono stati quelli di un indebolimento reciproco di due non-città che ha minato lo sviluppo dell’intera area urbana funzionale. Sviluppi di una metamorfosi che rende oggi Venezia un fenomeno polimorfico che presenta –solo dal punto di vista geografico– almeno quattro fenotipi: la “Venezia storica” (la città-urbs costruita nei secoli attorno a Rialto e San Marco), la “Venezia lagunare” (la città-urbs che alla città storica aggiunge gli insediamenti e l’ambiente delle sue “mura” lagunari), la “Venezia funzionale” (la città-civitas che si estende su almeno 15 comuni oltre a quello di Venezia e si mostra ricca di oltre un milione di utenti urbani giornalieri, non solo residenti) e la “Venezia metropolitana” (la città-civitas costituita dal nodo insediativo di rango primario nazionale ed europeo, risultante dall’insieme delle città funzionali di Venezia, Padova e Treviso).

Quattro fenotipi che restituiscono altrettante Venezie portatrici di messaggi all’apparenza contraddittori, ognuno percepito più da questa che da quella categoria di portatori di interesse che vanno dalla comunità mondiale a quella locale. Il contrasto più clamoroso è quello tra la “Venezia storica” – oggi solo una parte, quella storica appunto della civitas veneziana, alla quale va quasi in esclusiva l’attenzione del mondo – e la “Venezia funzionale” quella alla quale va altrettanto prioritariamente l’attenzione della comunità locale, di coloro che vivono il quotidiano della città veneziana.

Il futuro di Venezia sta tutto qui: nell’evitare che prevalga lo strabismo che vede la Venezia “storica” ma non quella “funzionale”: il solo organismo, poco visibile anche perché privo di rappresentanza politico amministrativa nel quale si esprimono i veneziani, visibili e invisibili.

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