«Veneziani, imparate a riconoscere la forza ipnotica della vostra città»

Il fatto che non esista in Italia una legge che limiti la trasformazione delle case in locazioni turistiche brevi (modello AirBnb) ha fatto sì che la città sia diventata terra di conquista del mercato finanziario legato all’industria turistica

Andrea SegreAndrea Segre
Piazza San Marco (Agf)
Piazza San Marco (Agf)

Non molto tempo fa ho ricevuto da un amico questa lettera:
«Ciao, la settimana scorsa sono stato a Venezia. Può sembrare strano, ma non ci ero mai stato. So che voi pensate che tutti ci siamo già stati, ma in realtà il mondo è pieno di chi come me non ci era mai stato. Così, come ti dicevo, la settimana scorsa sono stato per la prima volta a Venezia. Non so come faccio a spiegarlo a te, che ci sei cresciuto, con tuo padre, tua nonna, i vostri amici.

O a chi ancora ci vive. O ancor peggio a chi ci vive da generazioni, come i pescatori della Giudecca del tuo film. O anche solo a chi ci torna tutti gli anni o ogni tre quattro mesi, come gli amici che mi hanno ospitato.

Ma ho deciso che ci dovevo provare e così ti sto scrivendo: per quanto sia una delle città più filmate e fotografate al mondo, per quanto sia immediato riconoscerne l’estetica, la forma, per quanto la sensazione prima di andarci sia inevitabilmente quella di partecipare ad una sorta di evento spettacolare, non so come dirti, come andare alle Olimpiadi o al Festival di Cannes, un’esperienza che hai l’impressione di aver già vissuto, perché ne conosci appunto la sua apparenza, la sua forma, ebbene nonostante ciò l’impatto epidermico è imprevedibile ed inquietante.

Forse il termine può sembrarti offensivo, ma io ho sentito nella mia presenza fisica a Venezia la netta sensazione di non essere quieto, non sapere esattamente come e dove stare.

Ad un certo punto mentre provavo a capire cosa mi stesse succedendo, mi sono ritrovato a ciondolare sul bordo di un ponte, spostando lo sguardo dall’acqua alle case, dalle case all’acqua. Intorno c’erano tutti i rumori della Venezia di oggi, ma potevano quasi scomparire nel rapporto con un tempo e uno spazio non solo di oggi.

La creazione di questa vostra città è un atto ipnotico, chi l’ha immaginata ha pensato di poter superare i limiti della materia sfidando la materia stessa, intuendo che nel rapporto con l’acqua come pavimento c’è l’unica sfida possibile alla gravità.

Insomma vivete, o almeno chi di voi può ancora viverci, in un spazio urbano, non campestre, montano o marittimo, non bucolico, ma profondamente urbano e civico che contiene per sua struttura la contrapposizione alla caratteristica madre della città come luogo funzionale, utile, operativo.

Venezia è antifunzionale, per questo è inquietante e ipnotica. E per questo ha conquistato il mondo, prima raggiungendolo e poi facendosi raggiungere, guardare, disegnare, fotografare, filmare. Perché gli uomini hanno in realtà profondamente bisogno di perdersi, non solo di realizzarsi. Venezia è la città dove ho provato senza filtro l’emozione inquietante e meravigliosa, per questo essenziale, di perdermi.

Ora, perché ti scrivo tutto ciò, caro Andrea? Un po’ perché ne avevo bisogno, perché cercavo un’occasione per dire e soprattutto dirmi cosa mi fosse successo. E un po’ perché conosco il tuo impegno o quanto meno interesse per il tema del rapporto tra il turismo e la residenzialità.

Come mi hai ben spiegato il fatto che non esista in Italia una legge che limiti la trasformazione delle case in locazioni turistiche brevi (quelle di AirBnb per essere più semplici) ha fatto sì che città di enorme attrazione come Venezia (e Firenze, Roma, Napoli, le Cinque Terre, la costiera amalfitana e molti altri luoghi) siano diventate terra di conquista del mercato finanziario legato all’industria turistica.

Questo ha spinto i veneziani a vendersi le case o a doversene andare per non riuscire più a pagarne gli affitti. E piano piano la città si sta spopolando, lasciando sempre più spazio alla sola vita turistica.

Tutto giusto, però in questo tuo e vostro ragionamento, dopo essere finalmente stato a Venezia, sento un buco che mi fa male: è come se nella vostra rabbia per quanto sta succedendo non riesca a trovare spazio il mio diritto e la mia voglia di fare l’esperienza non solo di “visitare” Venezia, ma proprio di “essere” a Venezia.

È come se nella vostra rabbia si insinuasse una sorta di non riconoscimento della forza ipnotica della vostra città. Come ho provato a spiegarti sopra, l’essere a Venezia inquieta, dà condizioni e esperienze che non potevi immaginare di provare e che in quanto tali possono produrre dipendenza o repulsione, ma sicuramente lasciano un segno.

Non potete pensare che tutto ciò non sussista, non potete decidere che invece l’umanità oggi sappia solo fare foto per Instagram. Che poi, in fondo, anche dietro alla foto per Instagram può annidarsi il bisogno umano di capire cosa ti sta succedendo. Io ho ciondolato su un ponte, ma capisco che qualcuno non se la senta, si senta disorientato e si affidi al gesto banale della foto per tentare di resistere all’inquietudine.

Non so come, ma dovete provare a dare ospitalità nelle vostre giuste lotte a ciò che noi turisti proviamo nel venirvi a visitare. Così lotteremo insieme per salvare entrambi i nostri diritti. Pensateci, Andrea».

Credo che dovremmo davvero provarci. Se ci riuscissimo allora sì che saremmo in grado di inquietare sul serio chi invece in Venezia vede solo una fonte di denaro e potere.

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