Venezia deve intessere contatti con l'Oriente prossimo: l’Est Europa
La venezianità era molto più estesa ai tempi dei Polo, e riflettere su questa consapevolezza non è uno sterile esercizio di nostalgia, ma un tema che riguarda da vicino il nostro futuro
In una delle piazze principali di Ulan Bator, la capitale della Mongolia, un visitatore, per quanto attento, potrebbe non fare caso a una statua di un uomo in abiti orientali, simile a molte altre. Quella statua è dedicata a Marco Polo, il celebre mercante veneziano di cui quest'anno ricorre il 700° anniversario dalla morte.
In occasione di questa commemorazione sono state organizzate splendide mostre, come quella di Palazzo Ducale "I mondi di Marco Polo", e un programma di eventi di alto livello. Si tratta, certamente, di una preziosa opportunità di rievocazione storica, ma sarebbe troppo chiedere di prendere spunto da questa occasione per ripensare al ruolo internazionale di Venezia, senza parlare di turismo?
Il mondo del 1295, quando i Polo tornarono dal loro leggendario viaggio, era sicuramente un posto violento, crudele, difficile e instabile, ma anche aperto ai commerci e all'intraprendenza di uomini liberi, come erano i veneziani. Marco era orgogliosamente veneziano e, in quanto tale, guardava esclusivamente a Oriente: quello stesso Oriente che, dalla Cortina di ferro in poi, ci hanno insegnato a chiamare, genericamente, Est.
Il privilegio del confine
Non è nostro compito ricercare nella storiografia il momento in cui Venezia ha smesso di essere confine ed è diventata una delle tante città d'Italia, probabilmente la più desiderata e preziosa, ma pur sempre una delle tante.
Cosa significa oggi essere un confine? E confine di cosa? La propria collocazione nel flusso della storia si impara anche specchiandosi con chi vive al di là: ciascuno ha un proprio, personale, “al di là” e anche nella geografia funziona un po’ così. Ecco un’idea che potrebbe sembrare fuori moda: in un'epoca in cui i confini in Europa, almeno superficialmente, sembrano non esistere più, è ancora più importante riconoscerne l’esistenza, ma in un senso di creatività anziché di esclusione.
L'allerta Covid del 2020 ha mostrato rapidamente quanto possano essere dannosi i confini quando sono chiusi: in Piazza della Transalpina, tra Gorizia e Nova Gorica, vennero messe delle transenne nottetempo, rinnovando tutte quelle brutte sensazioni tipiche dei decenni della separazione.
Il nostro posto nel mondo
Quella esperienza ci ricorda che i confini non sono solo linee sulla mappa, ma anche barriere psicologiche e culturali che influenzano le nostre vite quotidiane. Attraverso il confronto con l'al di là, possiamo capire meglio noi stessi e il nostro posto nel mondo, riconoscendo che sono proprio le contaminazioni a portare la crescita culturale, creativa, scientifica e non solo. I confini sono luoghi creativi, dove nascono le idee e, spesso, le grandi imprese.
È molto probabile che nel 2024 siano pochi i visitatori che, giungendo oggi in Laguna, percepiscano le vibrazioni di camminare su un confine. Eppure, è proprio grazie al suo ruolo di mediatrice tra Occidente e Oriente che Venezia raggiunse la sua grandezza.
La Laguna aveva una posizione strategica che permise lo sviluppo di una cultura unica, ricca di influenze diverse e straordinarie, che oggi si possono ammirare nelle architetture, nella toponomastica delle calli, nelle tradizioni dell’artigianato, nel retaggio linguistico e perfino nei sapori della cucina (si pensi alla ricetta della Castradina o al caffè turco, che è tutt’oggi possibile degustare al Caffè Florian).
Tuttavia, la Venezia di oggi, sembra essere più una meta su Tripadvisor che un simbolo e la sua terraferma il dormitorio economico di quella stessa meta. C’era un tempo in cui Venezia tutelava con ogni mezzo i propri mercanti, consapevole che proprio dalla loro attività e intraprendenza dipendeva la potenza della città e la prospettiva della prosperità futura.
Cosa si sta facendo oggi per rinnovare quell’unicità?
Quale impegno si sta portando avanti per tutelare i mercanti di oggi e per attirarne altri, da ogni parte del mondo?
Venezia potrebbe essere ancora il luogo di una mediazione culturale quanto mai indispensabile. Oltre alle iniziative museali, sarebbe fondamentale creare occasioni di incontro che favoriscano il dialogo e lo scambio con l'Oriente prossimo, piuttosto che inseguire le solite sirene internazionalizzanti. Venezia e la sua terraferma potrebbero tornare a essere un hub di mercato e non solo di turismo, un centro di idee e non solo un bel fondale per convention aziendali. Incentivando le imprese, i lavoratori, i professionisti a scegliere Venezia e la terraferma come luogo di vita e di impresa, la città lagunare potrebbe riaffermare il proprio ruolo di ponte tra mondi diversi, recuperando quella dimensione di unicità che l'ha resa celebre in tutto il mondo.
Chi non vorrebbe vivere e lavorare qui?
Venezia non è mai stata una meta, ma un luogo di partenza e, come ci insegnano i Polo, di grandi, emozionanti ritorni.
I veneziani e i mestrini di oggi conoscono probabilmente più Miami, Zanzibar o Ibiza che non Pirano, Belgrado o Acri. Il disinteresse verso il nostro Oltremare probabilmente deriva dalle generazioni cresciute con un confine rigido in mente, quello imposto dalla Guerra Fredda e da una scuola che insegnava loro che, al di là di Trieste, alla fine, non c’era nulla di interessante da vedere e che, comunque, con i comunisti, era meglio non averci a che fare.
Trentatré anni dopo l'indipendenza della Slovenia e, successivamente, di tutto il nostro vicino Oriente, molti di quei luoghi attraggono oggi investimenti e visitatori da tutto il mondo. Oggi molte di quelle città, una volta famose solo per le loro file di palazzoni e per i monumenti brutalisti, sono diventate "cool". Tuttavia, per molti veneti, l'Est rimane comunque l'Est e non viene sentito come parte del proprio DNA.
Come può una comunità locale aspirare a essere promotrice di contenuti globali se non conosce neanche cosa c'è dall'altra parte del proprio mare? La verità è che la venezianità era molto più estesa ai tempi dei Polo, e riflettere su questa consapevolezza non è uno sterile esercizio di nostalgia, ma un tema che riguarda da vicino il nostro futuro.
Riproduzione riservata © il Nord Est