A Trieste tremila in piazza per blindare il Porto: "Zeno non si tocca"
TRIESTE Braccia muscolose e tatuate accanto a signore della Trieste bene. Esponenti del centrodestra a fianco a rappresentanti di Pd e Movimento 5 stelle. Ultras di estrema destra e indipendentisti pro Territorio libero. Tremila persone si sono date ieri appuntamento in piazza Unità per cantare che «c’è solo un presidente» e chiedere che Zeno D’Agostino sia reintegrato alla guida dell’Autorità portuale. I numeri non sono quelli delle mobilitazioni dei tempi della Lista per Trieste, ma la trasversalità della piazza è identica e pure il malessere verso la burocrazia romana.
Che i tempi siano cambiati lo dice il fatto che il convitato di pietra sia Giulio Camber, nato proprio con il Melone e ieri citato molte volte semplicemente come «quel signore», che i dimostranti considerano quasi senza eccezioni ispiratore dell’esposto alla Guardia di finanza. Da lì è partita infatti la decisione dell’Anac sulla decadenza di D’Agostino per la doppia presidenza ricoperta in Autorità portuale e Trieste terminal passeggeri.
«Dite grazie a quel signore, chiunque sia - grida D’Agostino nel comizio conclusivo - perché ha fatto venir fuori questa roba qua. Restiamo uniti, non fate l’errore di dividervi perché è quello che si aspettano ma bisogna essere più intelligenti di loro». Chi sia l’avversario il presidente non dice e si gode l’acclamazione dei suoi portuali, che a mezzogiorno spaccato fanno ingresso in piazza dalle Rive, dopo essere smontati dal turno di notte. Duecento giganti in arancione arrivano in corteo agitando fumogeni e cantando cori, mentre dietro lo striscione si intravedono mogli e figli. La famiglia del porto sbandiera l’orgoglio definitivamente ritrovato e si posiziona sotto il palco, pendendo dalle labbra di un funzionario ministeriale che dopo la decadenza si sta mettendo in gioco in prima persona col piglio del leader carismatico.
«Giovedì mi è caduto il mondo addosso - dice D’Agostino - ma qui mi rendo conto che non è caduto niente. Mi hanno detto che non sono mai stato presidente e questa è l’offesa peggiore. Prima qui non c’erano ideali e visione, ma gli abbiamo fatto vedere cosa siamo: stiamo uniti perché giocano sulle divisioni fra noi, ma anche fra Trieste, Monfalcone e il resto della regione. Ora c’è la partita e ce la giochiamo».
L’appuntamento è per il 24 giugno, quando il Tar dovrebbe pronunciarsi sulla sospensiva, ma potrebbe anche decidere di entrare subito nel merito del ricorso sulla decadenza. Il presidente parla con al collo la sciarpa della Triestina, dopo che un emozionato Milanese ricorda che «la mia adolescenza è legata alla Compagnia portuale: mio padre era uno di voi e tutti vogliamo la riconferma di Zeno». Poi D’Agostino chiama sul palco il commissario straordinario ed ex segretario generale Mario Sommariva e scatta l’abbraccio: «Vinceremo e torneremo», si limita a dire il braccio destro del manager veronese.
Dipenderà dal Tar e dall’emendamento in preparazione a Roma. Bloccato a Roma dagli Stati generali indetti dal governo, il ministro Stefano Patuanelli conferma l’impegno: «L’emendamento si farà a prescindere dal Tar e dal caso specifico, perché sono state segnalate dalla stessa Anac criticità sulla norma». Per Patuanelli, «l’affetto di Trieste è legato al lavoro che Zeno ha fatto per il porto. Mi sono subito attivato per manifestare l’esigenza di tenerlo legato a Trieste non solo fino a scadenza mandato ma il più a lungo possibile». Al lavoro c’è anche la deputata Pd Debora Serracchiani: «Nel mezzo di una crisi durissima – scrive in una nota – da Trieste arriva una potente domanda di riscatto, civilissima e trasversale. L'impegno per rispondere a questa piazza deve essere totale e siamo all'opera».
In piazza ci sono tutte le sigle sindacali e l’intero arco politico a eccezione di Forza Italia, che nella sua declinazione triestina e camberiana (a eccezione di un Bruno Marini «in polemica col partito triestino») non apprezza la gestione del porto e il dialogo con la Cina. Assessori e consiglieri regionali, eletti in Comune, l’ex sindaco Roberto Cosolini e il predecessore-successore Roberto Dipiazza, il presidente della Barcolana Mitja Gialuz, l’organizzatore di Esof2020 Stefano Fantoni e gli spedizionieri al completo.
Ma su tutti ci sono i portuali e non mancano i cantierini di Monfalcone. Stefano Puzzer apre il comizio a nome del Coordinamento lavoratori portuali Trieste: «Guai a chi ce lo tocca. Qui ci siamo tutti con i valori dell’orgoglio, del rispetto e della solidarietà».
Per Sasha Colautti (Usb), «l’attacco portato alla città non può passare inosservato: Trieste è porto e industria, non l’ovovia». Michele Piga (Cgil) vede un presidente il cui «lavoro ha portato Trieste al protagonismo internazionale, a dare salari e garantire diritti».
E' poi la volta del mondo della cultura. Paolo Rumiz e Veit Heinichen salgono sul palco di piazza Unità per portare una voce diversa da quella dei sindacati e della politica, capace però di unirsi con stile differente al coro della città che si sente tradita. «Quando ero bambino – ha esordito Rumiz – andavo ad ascoltare i treni perché quel rumore mi tranquillizzava. L’ho fatto anche durante l’emergenza Covid, quando andavo a sentire il rumore dei convogli di Adriafer: una cosa buona, il porto che lavora mentre tutta la città era ferma». Secondo Rumiz, «in cinque anni si è fatto il miracolo, dopo che ci eravamo sentiti dire per anni che la mano pubblica non funziona. E ora, dopo il disastro Covid, arriva l’Anac». Rumiz è convinto di essere davanti a un boicottaggio interno alla città: «Non posso credere che lo Stato voglia picconare sé stesso attraverso un fedele servitore che è D’Agostino: a fare tutto questo non è un forestiero, ma qualcuno che vuole togliere il futuro alla città senza palesarsi. Non posso pensare che Trieste debba difendersi dai triestini». Rumiz invita la città a reagire: «Devo dimostrarvi non tanto la mia rabbia, ma la mia incredulità, che può essere un potente elemento di azione. Lo stato d’allerta non deve rilassarsi. E l’incredulità la dimostra anche il vostro numero e la straordinaria trasversalità politica di questa piazza».
Heinichen condivide la tesi della “manina”: «Non so se questa mossa provenga da qualcuno invidioso del progresso o corrotto, o corroso dalla gelosia e attaccato al piccolo potere che ha perso», ma «tale situazione ha provocato il timore che il rinnovamento possa interrompersi prima che sia completato lo sforzo di uscire dall’immobilismo di decenni. Il modo dell’attacco fa pensare a un vigliacco». Per il giallista tedesco «questa piazza difende la competenza e il lavoro, una prospettiva di sviluppo che non è solo del porto, ma di tutta la città: non dobbiamo tornare alla paralisi di Trieste, che si è messa in movimento negli ultimi anni, aprendosi al mondo. Dal sogno ci stiamo svegliando con l’incubo dei fantasmi del passato, con questo tentativo di eliminare una persona che ha smosso le acque e ha dato speranza, integrando, non emarginando».
Gli interventi delle istituzioni cominciano dalla Regione e l’assessore Pierpaolo Roberti incassa gli unici fischi. È la reazione all’assenza di Massimiliano Fedriga, ma da Roma il governatore ha ricevuto l’invito a evitare la piazza per opportunità, perché la Regione partecipa al processo di nomina del presidente dell’Authority. Roberti resiste alla pressione: «Non sono qua per una passerella politica, ma porto la vicinanza della Regione. Un anno fa siamo andati a vedere l’area del terminal ungherese: c’è ancora tanto lavoro da fare». Dipiazza parla poco: «Zeno continuerà a lavorare per la città, che non è mai stata così unita». Il sindaco non manca di fare sponda con il dem Francesco Russo, ringraziato per «le diecimila firme raccolte». Per la collega Anna Cisint, «Zeno e Mario hanno fatto un grande lavoro anche per Monfalcone». —
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