Addio di Paolo Costa al Porto di Venezia: "Lascio un progetto chiaro e purtroppo anche tre dossier aperti"

«L'unico rimpianto su cui bisognerà riflettere - ha detto - è che ci sono state poche partecipazioni dell'imprenditoria veneziana a queste rivoluzioni. Solo il sindaco Luigi Brugnaro ha capito l'importanza di quello che stiamo facendo».

VENEZIA. Altro che grandi navi. Il progetto perseguito in otto anni è stato quello di portare il Porto di Venezia sui «mercati contendibili» che sono quelli del traffico merci via container. Paolo Costa, nel suo addio da presidente dell’Autorità portuale veneziana, detta la gerarchia delle priorità di sviluppo: container, traghetti merci, traffico intermodale (nave-treno) e, poi, crociere. «In quest’ordine - precisa - sennò ci sistemiamo benissimo dove sappiamo di vincere e perdiamo altre opportunità».


Il bilancio di mandato. Arrivato all’Autorità portuale a luglio 2008 - «prima che qualcuno a Lehman Brothers facesse qualche cavolata» ironizza - Costa ha centrato in pieno tutti gli anni della crisi. «Ma ne abbiamo approfittato - conferma - riposizionandoci su nuovi business e non solo difendendo il pregresso». «Nel 2008 mi prendevano in giro quando dicevo che Venezia poteva diventare un player nei traffici container oceanici e infra-mediterranei, ma se non entravamo in questo business, rimanevano un piccolo porto di provincia. Oggi - spiega - affido al nuovo presidente Pino Musolino, un progetto completo e coerente di cosa si deve fare del Porto, con indicazioni precise a piano regolatore, e anche alcuni dossier aperti che non dipendono da noi ma da decisioni coerenti e facilitazioni dello stato». I dossier? Isola offshore (piattaforma d’altura), crocieristica e l’uso della conca di navigazione, ovvero l’accesso permanente al Porto di Marghera anche con le paratie del Mose chiuse.


I numeri e la cura dimagrante. «Il 2016 si è chiuso per il Porto con il più alto traffico container tra i porti dell’Adriatico, secondi solo a Capodistria - spiega Costa - e un ritorno sul mercato intermodale e Ro-ro (merci su traghetto), per i traffici internazionali». «Il sistema è efficiente - aggiunge - con movimentazioni su camion, chiatta e treno. In porto si entra nei limiti consentiti e si esce talmente bene che molti neanche lo sanno: nel 2016 abbiamo fatto oltre 605 mila teu su container e 7.140 treni, +46% ma possiamo arrivare a 15 mila l’anno». Una macchina che dà lavoro a 1.300 aziende e 16 mila occupati e, dopo la cura dimagrante imposta per legge «ma utile», «abbiamo poche società controllate: erano 17 ne lasciamo 4» con 160 milioni di debiti che sono fidi contratti per investire.


Gli investimenti. Sono pari a 525 milioni in dieci anni: 232 milioni per gli scavi e 293 in infrastrutture. «Su 40 milioni l’anno di incasso e 20 di spese, 10 li abbiamo accantonati per prudenza e 10 investiti» spiega, includendo i «cento ettari a Marghera per patrimonializzare l’azienda». «Abbiamo tirato a lustro gli impianti esistenti e abbiamo risolto due grandi nodi: la difficoltà a fare entrare le navi e quella a far uscire le merci». «Nell'alveo delle norme del Mose abbiamo cercato, con risorse ingenti, di portare l'accessibilità dei canali da 9,75 a 12 metri di pescaggio e sappiamo che 50 cm in più di profondità hanno effetti travolgenti sui traffici». «Eravamo un porto perfetto nel 1954 ma sono cambiate le dimensioni delle navi, e non potendo più scavare in laguna, perché siamo arrivati al limite consentito di 12 metri, abbiamo dovuto trovare qualcosa di diverso». Che è l’isola offshore.


L’isola per i container. «Siamo il porto più vicino al centro dell'Europa e di maggior convenienza per gli scambi sulla via della seta e l’offshore è l’unico modo per fare questo lavoro». «Con la posa dei cassoni del Mose si è stabilito che bastavano 12 metri di pescaggio e questo lo definì Claudio Boniciolli (ex presidente del Porto, ndr) mentre per quanto mi riguarda andavano indicati 14-16 metri. Il danno il Mose ce l’ha già fatto: da Malamocco e dal Lido non possono entrare navi oltre i 12 metri di pescaggio, ma quando sono state prese queste decisioni il governo ci disse che, a fronte di questo sacrificio, ci avrebbe concesso una via d'accesso con la conca di navigazione e la piattaforma di altura e diede l’avvio alla sua realizzazione con decisione del Parlamento. Tutte le resistenze sono quindi contro la legge ma il problema esiste e non si risolve con le carte bollate».

Il sindaco amico, l'industria estranea. Il solo plauso va al sindaco Luigi Brugnaro, «l’unico che ha capito cosa si deve fare». «Gli altri», dice Paolo Costa, «mi sembrano distratti: non hanno capito che sul Porto si gioca la competitività di Venezia e del Veneto». Costa parla di «rivoluzione copernicana»: «Posizionare il Porto al centro dello sviluppo manifatturiero di Venezia, pena l’implosione turistica. «Portocentrismo e re-industrializzazione» sono le due parole chiave. Ma «servono interlocutori capaci di capire che ci si può localizzare vicino al mare e che conviene produrre lì dove i traffici partono per il mondo». Ma l’imprenditoria veneziana l’ha capito? Costa è scettico: «Ha dimostrato scarsa partecipazione - ribatte -. A Venezia c’è una sotto-rappresentazione dei problemi. Abbiamo più eco nel mondo che qui».


Neanche la politica ne esce elogiata: «È affetta da una monumentale incapacità decisionale e amministrativa» dice. «Mi sono confrontato con due presidenti di Regione, tre sindaci e quattro ministri: ogni volta ricostruendo da zero la lunghezza d’onda e siamo l’esempio di come l’Italia sia incapace di avere obiettivi chiari e percorsi veloci. Siamo come nel Medioevo: non si rispetta lo stato di diritto, non si applicano le leggi. Abbiamo progetti autorizzati e nulla decolla».
Un esempio? Le crociere: «Il 2 marzo sono 5 anni che c'è un decreto che dice che è l'Autorità Marittima a decidere senza Regione né altri interlocutori. Ma le leggi si scrivono e non si rispettano e siamo ancora qui». Poi aggiunge: «Attendiamo da due anni una promessa fatta, quella di consentirci di competere sul mercato dei traffici merci con la Turchia, togliendo monopoli legali con regole stabilite ad hoc per Trieste e accordi internazionali che impediscono ai turchi di scegliere». Costa apre alla collaborazione Trieste-Capodistria-Ravenna e Fiume: «Tutti abbiamo il comune interesse a far sì le navi passino per l'Adriatico. Si può collaborare per gestire i grandi carichi, dividendoseli, ma si può anche competere a pari condizioni; alla fine serviamo mercati diversi da Trieste, quindi che problema c'è?»

 @eleonoravallin

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