Al fisco le imprese versano 97 miliardi l'anno

Lo studio della Cgia di Mestre dimostra che se è vero che l'importo è minore rispetto al passato, questo accade non per una minore pressione fiscale ma per le tante imprese che hanno chiuso

MESTRE - Nel 2014 (ultimo dato disponibile) i 5 milioni di aziende presenti in Italia hanno versato 96,9 miliardi di euro di tasse.

Le imposte che hanno garantito il gettito più elevato sono state l’Ires (31 miliardi di gettito), l’Irpef sul reddito pagata dalle persone fisiche (23,5 miliardi), l’Irap (20,9 miliardi) e i tributi locali (oltre 13 miliardi).

L’Ufficio studi della CGIA tiene comunque a precisare che l’importo di 96,9 miliardi di euro è sicuramente sottodimensionato, visto che i dati riportati in questa analisi non includono il gettito riferito ai rifiuti, all’imposta di registro, all’imposta di bollo, al canone Rai, alle concessioni governative e ai contributi delle concessioni edilizie.

Per queste tipologie di imposta, infatti, non è possibile calcolare gli importi esatti pagati dalle imprese.

Rispetto all’anno pre-crisi (2007), il peso complessivo delle imposte versate dalle imprese è comunque sceso di 18,8 miliardi di euro, anche se va sottolineato che ciò non è avvenuto a seguito di una riduzione della pressione fiscale generale che, invece, ha continuato a salire, ma, in particolar modo, per effetto della crisi economica che ha influenzato negativamente la crescita del Pil ed ha ridotto di 168.000 unità il numero complessivo delle aziende presenti nel paese.

Tra il 2007 e il 2014 il gettito Ires è diminuito di quasi 16 miliardi, quello dell’Irap di 8,6 miliardi e quello dell’Irpef di 4,5 miliardi, mentre le tasse locali sono aumentate di circa 6 miliardi, in buona parte a causa dell’introduzione dell’Imu.

E’ comunque doveroso ricordare che le uniche imposte a carico delle aziende che il legislatore ha alleggerito nel periodo da noi considerato sono state l’Irap e l’Ires.

La prima attraverso una serie di sconti e deduzioni della base imponibile legate alla presenza di lavoratori a tempo indeterminato.

La seconda con l’introduzione dell’Ace. Misure che, comunque, hanno avvantaggiato soprattutto le medie e grandi imprese.

“In nessun altro Paese d’Europa – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – è richiesto uno sforzo fiscale simile. Nonostante la giustizia civile sia lentissima, il credito venga concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione rimanga la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, il peso del fisco sulle aziende rimane ancora troppo elevato. Anche se va ricordato che nel 2015 c’è stato un ulteriore alleggerimento dell’Irap e nel 2016 è stata eliminata l’Imu sugli imbullonati ed è previsto uno sconto fiscale per chi investe”.

“Sebbene la crescita economica sia ancora troppo fragile, il debito pubblico sul Pil continua a rimanere sopra il 130 per cento e dall’inizio della crisi i disoccupati siano aumentati di circa un milione e mezzo – afferma il segretario della CGIA Renato Mason - è evidente che le politiche fin qui adottate hanno sortito dei risultati molto modesti. Pertanto, dobbiamo assolutamente tornare ad investire e alleggerire la pressione fiscale sui cittadini e sulle imprese. Condizioni, quest’ultime, necessarie per far crescere la domanda interna e, di conseguenza, anche l’occupazione”.

Se in questi anni di crisi (2007-2015) la pressione fiscale è aumentata di quasi un punto e mezzo, per contro, le principali variabili economiche hanno registrato una caduta verticale.

In termini reali il Pil, cioè la ricchezza prodotta, è diminuito di quasi 140 miliardi di euro (-8,3 per cento); le famiglie, invece, hanno ridotto i consumi di quasi 62,5 miliardi (-6,3 per cento); gli investimenti sono crollati di quasi 110 miliardi (-29,8 per cento) e i prestiti bancari alle imprese, infine, sono scesi di 18 miliardi (anche se rispetto al punto più alto, toccato nel dicembre 2011, la contrazione è stata di ben 109 miliardi di euro).

A crescere è stato solo il tasso di disoccupazione che è quasi raddoppiato: se nel 2007 era leggermente superiore al 6 per cento, l’anno scorso ha sfiorato il 12 per cento.

Con un trend così disastroso, aver deciso di aumentare fino a un paio di anni fa le tasse è stata una decisione sbagliata che ha impoverito il Paese e non ha contribuito ad arrestare l’ascesa del rapporto debito/Pil che, nel 2015, ha raggiunto il 132,7 per cento; 32 punti in più rispetto alla situazione pre-crisi (2007).

Riproduzione riservata © il Nord Est