Alberghi e resort di lusso: il radar degli investitori punta sull'offerta di qualità

Quasi 600 camere passate di proprietà nel 2017 in Veneto, con cifre record a Venezia. Si compra anche a Vicenza e sul Garda ma il mercato resta sottodimensionato

VENEZIA. Nel triennio tra il 2015 e il 2017, la media del prezzo pagato per camera ha sfiorato i 400 mila euro in Italia, al pari della Gran Bretagna, con due casi di eccezione: per Palazzo Gritti a Venezia si è battuto il record di 1,28 milioni per chiave (lo storico cinquestelle è stato ceduto nel 2015 alla Nozul Hotels del Qatar per 117 milioni di dollari) e per il St. Regis a Roma che ha toccato i 700 mila euro, a chiave.


Nel 2017 gli investimenti immobiliari nel comparto alberghiero italiano sono risultati pari a 1,19 miliardi, +11,4% rispetto al 2016. Nei primi quattro mesi del 2018 sono stati investiti già 170 milioni.


La performance
L’Italia è decisamente al centro degli investimenti immobiliari turistici stranieri e italiani grazie alla potenza di fuoco di 122 milioni di arrivi e ottime performance di reddito: un ricavo medio per camera occupata a Venezia, la più cara d’Italia, vale 335,7 euro. Solo nel primo quadrimestre dell’anno sono passate di mano 1.200 camere, il 23% a Nord d’Italia. Nel 2017, secondo l’Ufficio Studi Gabetti, sono transate 10 mila camere, di queste 597 erano in Veneto: 2.672 in totale a Nord Italia.


Si punta al lusso
Roma, Milano, Firenze e Venezia sono le città nel radar degli investitori che scelgono alberghi di fascia alta (l’80% del totale) anche se non mancano investimenti in resort e ostelli di nuove concezione (dati Ufficio Studi Gabetti). Tra le top 10, città maggiormente interessate da transazioni immobiliari, spicca anche Vicenza con 7 transazioni nel 2017. Tra i mercati più attivi l’intera provincia Veronese con 21 operazioni immobiliari tra il lago di Garda, Soave e la Valpolicella. «Nel 2017 gli investitori esteri hanno rappresentato circa il 53% del totale investito – si legge nel report - con Francia, Usa e Uk che rappresentano circa il 66% del capitale estero».


Un comparto in buona salute
«Il settore immobiliare turistico italiano è in buona salute. In questo ultimo anno le dinamiche che attraversano il settore alberghiero stanno vivendo forti accelerazioni con un aumento dell’interesse degli operatori internazionali e dei fondi immobiliari verso la nostra destinazione e verso il settore dell’ospitalità» ha chiarito Giorgio Palmucci, presidente di Confindustria Alberghi questa primavera a Milano al forum Tourism Investment promosso da PKF e About Hotel. Uno degli elementi fondamentali per spiegare il trend, secondo Confindustria Alberghi, è la grande opera di riqualificazione potata avanti a partire dal 2011 con il tax credit.
Stando all’ultimo studio della Bocconi di Milano Hotels & Chains 2018 gli interessi delle grandi catene alberghiere sarebbero interamente rivolti verso le più importanti e popolate città turistiche italiane come Venezia e Firenze. Per la Bocconi, le catene sono in crescita e i loro modelli di business sono destinati a permeare il tessuto imprenditoriale dell’hospitality italiana. Le grandi catene che operano in Italia oggi sono Hnh Hotels, Accor, Best Western, Melià Hotels International.


Congiuntura Brexit
Anche la Brexit ha inciso sulla rotta degli investimenti in Italia. Oggi la classifica vede Portogallo, Spagna, Italia e Grecia sul podio. Ma in un'Europa che rappresenta un terzo degli investimenti immobiliari turistici del mondo, l'Italia è ancora un mercato sottodimensionato. «Potrebbe attrarre molti più capitali – ha spiegato alla stampa di settore Tom Leahy di Real capital analytics - la Spagna ha attratto 4 miliardi nel 2017, l'Italia tre miliardi nell'ultimo triennio. Ci aspettiamo ulteriori investimenti nell'immediato futuro».


Chi investe e chi investirà
Tourism Investment Forum ha fatto l’elenco dei principali investitori in Italia nell’ultimo triennio: Jaidah holdings, Marseglia Group, Walton street capital, Benson Elliot, Algonquin, il gruppo Unipol, la Qatar Investment authority, Starhotels, Serenissima e Bnp Paribas. «Non abbiamo niente contro gli operatori stranieri - dice Marco Michielli ai vertici di Confturismo Veneto – ma sarebbe meglio se fossero italiani. Lo straniero compra e rivende, l’operatore italiano è più legato al territorio ma, dopo 10 anni di crisi, sono pochi quelli che se lo possono permettere e chi ne aveva la possibilità oggi ha il fiato corto. Purtroppo, stiamo svendendo l’Italia». —

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