Allarme a Nord Est, le imprese affrontano il rischio Germania

Dall’automotive all’agroalimentare, dalla siderurgia al turismo, sono infatti molteplici i legami tra Veneto e Friuli Venezia Giulia e Berlino che assorbe il 14% delle nostre esportazioni in settori cruciali come macchinari, prodotti in metallo, alimentare, apparecchi elettrici, sistema moda e mezzi di trasporto
Giorgio Barbieri

Calo degli investimenti industriali, gelata dei consumi, flessione dell’export. La Germania torna ad essere il grande malato d’Europa e a certificare l’oggettiva difficoltà di Berlino a crescere sono da una parte i dati sull’ulteriore contrazione della manifattura tedesca e dall’altra lo storico annuncio da parte di Volkswagen della possibile chiusura di stabilimenti per cercare di rendere più efficace il suo programma di taglio dei costi.

E il Nord Est, che ha proprio nella Germania il primo mercato di riferimento, non può che guardare con preoccupazione allo stato di salute della principale economia del Vecchio continente. Dall’automotive all’agroalimentare, dalla siderurgia al turismo, sono infatti molteplici i legami tra Veneto e Friuli Venezia Giulia e Berlino che assorbe il 14% delle nostre esportazioni in settori cruciali come macchinari, prodotti in metallo, alimentare, apparecchi elettrici, sistema moda e mezzi di trasporto.

La Germania e la Cina

Un campanello d’allarme viene lanciato anche da Federico Visentin, presidente e amministratore delegato della Mevis di Rosà, che progetta e produce molle e componenti metallici stampati e saldati, ma soprattutto presidente di Federmeccanica, l’associazione che rappresenta il settore più dipendente di tutti dalla Germania, la meccanica appunto.

«Le difficoltà dell’economia tedesca», spiega, «hanno anzitutto radici geopolitiche e di commercio internazionale. La Germania si era imposta, negli anni, come un potente esportatore verso la Cina. Poi Pechino ha deciso di puntare sui consumi e sul commercio interno, e Berlino è rimasta spiazzata; ma siccome i prodotti finali tedeschi contengono una vasta quantità di prodotti intermedi italiani, questo ci danneggia in via diretta. Per l’esattezza, sul versante dell’export, la Germania rappresenta la principale destinazione di quello manifatturiero italiano».

Un’analisi che trova conferma nei numeri. Secondo i dati della Camera di commercio Italo-Germanica nel 2023 il Veneto è stata una delle regioni con l’interscambio più alto, per un valore monetario di oltre 24 miliardi di euro. Tra i settori principali risultano quello dei mezzi di trasporto con 4,8 miliardi, quello dell’agroalimentare con 3,7 miliardi e quello dei macchinari con 3,2 miliardi. Verona è la provincia con il peso maggiore all’interno dell’interscambio, detenendo il 38,4% per un valore monetario di 9,2 miliardi di euro, seguita da Vicenza (18,9%), Padova (17,4%) e Treviso (14,5%). Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia il valore degli scambi con la Germania ammontava nel 2023 a 3,8 miliardi.

Di questi una grande parte è costituita dalla siderurgia (un miliardo) e dai macchinari (mezzo miliardo), entrambi settori con una quota dominante di export e divisi principalmente tra Udine e Pordenone. E anche grazie ai risultati della siderurgia e dei macchinari, la prima provincia per scambi è Udine, che rappresenta la metà del totale con in seconda posizione Pordenone (32% del totale). La frenata, secondo il report presentato dalla Camera di Commercio Italo-Germanica, si è cominciata a osservare a partire dall’autunno del 2023, anche in conseguenza del rallentamento dell’inflazione.

L’export italiano, con la caduta del 7,8 per cento di dicembre 2023, ha chiuso l’anno in pareggio, soprattutto a causa del crollo dei flussi commerciali verso i confini tedeschi. Il tonfo maggiore nell’export dall’Italia verso la Germania si è registrato nell’acciaio, con -20,4%, seguito dal chimico-farmaceutico con -11,6% e dal settore gomma e plastica con -6,3%. Non è solo una questione di calo del valore economico, legato alla frenata inflazionistica ma soprattutto, nel caso della siderurgia, si è registrato anche un grosso calo dei volumi di merce esportata pari a -11,2%.

Il turismo

Storicamente il sistema tedesco, sul fronte dei costi energetici, è quello che sta scontando di più la crisi russo-ucraina. A pesare sulle industrie, in particolare, è la scarsità di commesse dall’estero combinata agli alti tassi d’interesse; mentre l’attesa ripresa dei consumi non si è materializzata nonostante gli aumenti in busta paga.

Un elemento, quest’ultimo, che penalizza un altro settore cruciale per l’economia italiana: il turismo. A lanciare l’allarme è stato anche Enrico Guerin, presidente di Federalberghi Confcommercio del Friuli Venezia Giulia. «Il 2024 non è facile l’Alto Adriatico», costretto a fare i conti con l’impatto della crisi tedesca. «Premesso che sarà importante promuovere la partecipazione di sempre più strutture alla piattaforma H-Benchmark, al fine di avere a disposizione dati che si avvicinino sempre di più alla situazione in tempo reale di ciascuna località, ci basiamo soprattutto su percezioni», afferma Guerin, «in termini di arrivi, quelli dalla Germania sono in calo, anche se controbilanciato da un incremento dell’Austria e soprattutto dell’Est Europa».

Dunque le relazioni tra Italia e Germania sono molto strette in quasi tutti i settori. Per cui se Berlino è il gigante malato, anche il Nord Est ora non si sente tanto bene.

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