Bancari, in 8 anni azzerati 44 mila posti di lavoro
PADOVA - «Alla fine del 2009 i bancari italiani erano più di 330.000, nel 2017 sono scesi a quasi 286.000. Dallo scoppio della crisi in banca sono stati bruciati più di 44.000 posti di lavoro, di cui 13.500 solo nel 2017 e l’emorragia prosegue con i piani di uscita dei grandi gruppi».
Lo rivela l’Ufficio Studi della First Cisl, secondo cui al Nord si è perso un addetto ogni 10, al Sud quasi 2 su 10, «un tributo occupazionale - commenta il segretario generale di First Cisl, Giulio Romani - enorme versato sull’altare della mancata riforma del sistema bancario».
La First Cisl calcola che in otto anni il Nord Ovest ha perso il 10,7% dei suoi bancari, il Nord Est il 12,5%, l’Italia Centrale il 16,2% e il Mezzogiorno il 16,9%.
Rispetto al 2016, il calo dell’occupazione è stato del 4,5%, pari a 4.660 unità, di cui il 5,3% nel Mezzogiorno, il 4,7% al centro, il 4,4% nel Nord est e il 4,1% nel Nord ovest.
«I tempi per una riforma che tuteli il risparmio e il lavoro e che rilanci l’occupazione - aggiunge Romani - sono maturi. Nessuno venga più a dirci che il personale costa troppo: ai 2,9 miliardi di utile realizzati dai cinque maggiori gruppi bancari italiani nei primi tre mesi del 2018 hanno dato un enorme contributo i 5 miliardi delle commissioni nette, che sono strettamente correlate al fattore lavoro e valgono il 119% del costo del personale, contro il 112% di fine 2017. L’efficienza del personale è dunque molto alta e il costo del lavoro assorbe solo il 33% dei proventi operativi. Lo straordinario apporto dei dipendenti va riconosciuto tangibilmente: il tempo dei tagli economici e occupazionali è finito, è ora di coinvolgere i lavoratori negli organi di controllo delle banche».
«Il rilancio occupazionale - spiega il responsabile dell’Ufficio Studi di First Cisl, Riccardo Colombani - è una priorità, poichè dal 2009 abbiamo avuto flessioni a doppia cifra in tutte le aree del Paese, anche se una lettura superficiale delle rilevazioni della Banca d’Italia può trarre in inganno, indicando illusori incrementi in province come Torino o Bergamo, che nell’ultimo anno sembrano cresciute l’una di 3.000 e l’altra di 500 addetti, mentre non è così. Il problema - conclude - è che per il 2017 la vigilanza ha attribuito alla provincia della nuova capogruppo gli addetti delle ex direzioni delle banche che sono state oggetto di integrazione, per cui chi lavora nelle ex sedi delle venete è conteggiato come fosse a Torino, sede legale di Intesa Sanpaolo, chi sta negli ex uffici centrali di Banca Marche e di Etruria è sul conto di Bergamo, sede di Ubi, chi è nelle direzioni delle tre casse acquisite da Cariparma è contabilizzato a Parma».
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