Bankitalia valuta nuove sanzioni sulle Popolari venete
Sette pagine di ricostruzione delle ispezioni svolte, dal 2013, in Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Partendo da una premessa. «I finanziamenti accordati da una banca a un cliente in coincidenza con l’acquisto da parte di quest’ultimo di azioni delle banca stessa sono legittimi alle condizioni fissate dal codice civile». Nell’occhio del ciclone per il terremoto che ha colpito Veneto Banca e Popolare di Vicenza, la Banca d’Italia si difende. Lo fa sollecitata dalla commissione d’inchiesta del consiglio regionale, presieduta da Maurizio Conte, che dopo le prime audizioni dei soggetti coinvolti ha chiesto alla Banca centrale di chiarire il suo ruolo. La risposta è una nota tecnica dove la Banca d’Italia difende la sua attività e quella della Vigilanza.
«Nel dibattito pubblico», si legge nella nota pubblicata nei giorni scorsi, «la Banca d’Italia è stata più volte chiamata in causa, spesso sulla base di presupposti sbagliati o di malintesi». Di quanto stava accadendo in Veneto Banca e Bpvi, Bankitalia poteva non sapere? All’interrogativo, Palazzo Koch risponde sostenendo, in pratica, che la Vigilanza sapeva e che l’istituto centrale ha fatto quanto era nei suoi poteri fare.
I due cardini. Prima di entrare parzialmente nel merito (sono «questioni oggetto di indagine, in relazione alle quali siamo tenuti al segreto d’ufficio» la precisazione), Bankitalia mette sul tavolo due questioni. «Nessun potere diretto sulla determinazione del prezzo delle azioni è conferito alla Banca d’Italia» la prima. E poi: «I finanziamenti accordati da una banca a un cliente in coincidenza con l’acquisto da parte di quest’ultimo di azioni delle banca stessa sono legittimi alle condizioni fissate dal codice civile. Ai fini prudenziali, tuttavia, la normativa di settore prevede che le azioni acquistate grazie a un finanziamento della banca emittente non possono essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza».
In pratica, il mancato rispetto del codice civile non è questione che investe direttamente Bankitalia. Il problema, semmai, è il computo delle azioni finanziate nell’ambito del patrimonio di vigilanza. E di questo – con le differenze del caso – Bankitalia sostiene di essersi accorta fin dal 2013 e di aver chiesto «decisioni urgenti» alle due banche. Urgenza, però, che non deve essere stata percepita.
Veneto Banca. Fin dal 2013, come detto, gli ispettori di Bankitalia – c’è scritto nella relazione – rilevarono il fenomeno delle azioni finanziate e la mancata deduzione delle stesse dal patrimonio di vigilanza. «Fu inviata una lettera agli esponenti aziendali», ovvero al presidente Flavio Trinca e all’amministratore delegato Vincenzo Consoli, dove l’istituto centrale chiese «l’assunzione delle conseguenti urgenti decisioni» e una «radicale svolta nella governance con il ricambio integrale degli organi amministrativo e di controllo». Oltre a chiedere e sanzionare (è richiamata la stangata da 2,7 milioni di euro al Cda dell’agosto 2014) Bankitalia precisa che non poteva fare. «All’epoca la Vigilanza non aveva il potere di rimuovere gli esponenti aziendali» si sottolinea nella relazione. «Tale potere, più volte invocato, è stato introdotto nel 2015».
Bpvi. La situazione ricostruita è parzialmente diversa. Resta il fatto che anche qui si evidenzia come dal 2013 ci siano stati «diversi interventi di vigilanza per richiamare il rispetto dei limiti normativi sul riacquisto di azioni proprie». Nel 2014, anche alla luce dell’entrata in vigore di nuove norme, veniva rilevato come Bpvi avesse acquistato
«azioni proprie senza aver chiesto l’autorizzazione a Bankitalia». Solo nel 2015, però, in seguito a un’ispezione si è «evidenziato il problema delle azioni finanziate». A questo riguardo, conclude Bankitalia, sono «ancora in corso le valutazioni circa l’avvio di procedure sanzionatorie».
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