Barbara Beltrame Giacomello (Confindustria): «Con il Patto per l’Export per la prima volta sostegno sistemico alle imprese»

«Serve un approccio più deciso verso la West Coast americana, dove portare il meglio della tecnologia italiana» ma opportunità interessanti arrivano anche dall’Asia o dal Sudamerica. Scenari e prospettive delineate dalla vicepresidente di Confindustria nazionale con delega all’internazionalizzazione e presidente di BusinessMed

Barbara Beltrame Giacomello
Barbara Beltrame Giacomello

VICENZA. Serve un approccio più deciso verso la West Coast americana, dove portare il meglio della tecnologia italiana. Questa deve essere una delle principali direttrici dell’espansione internazionale delle imprese italiane e trivenete in Nord America, sottolinea la vicentina Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente di Confindustria nazionale con delega all’internazionalizzazione e presidente di BusinessMed.
Nell’intervista a Nordest Economia, Beltrame Giacomello fa una panoramica sulle prospettive nelle principali macroaree dei mercati extra europei: Nord America, Sud America, Africa e Mediterraneo, Russia e Asia (dove merita più attenzione il Sudest Asiatico).
Innanzitutto, come le imprese italiane hanno attraversato la crisi sui mercati internazionali?

«Nei mesi peggiori della pandemia le imprese esportatrici hanno dato un contributo decisivo alla tenuta del sistema economico del Paese. Le esportazioni italiane hanno superato nel 2021 i livelli del 2019: è un risultato che ha del miracoloso e che dimostra quanto le aziende più competitive sui mercati esteri siano più forti dei lockdown, delle interruzioni delle catene del valore aggiunto, degli infiniti problemi logistici che hanno dovuto affrontare negli ultimi due anni di emergenza. Si è giustamente parlato, durante la pandemia, di coraggio, visione ed eroismo: ebbene, credo che tali valori debbano essere riconosciuti anche alle migliaia di imprese che hanno lottato senza risparmiarsi per difendere quote di mercato, lavoro ed occupazione».

Quali prospettive per l’internazionalizzazione delle PMI italiane?

«I risultati raggiunti non son soltanto i frutti dell’impegno individuale delle singole aziende: il Patto per l’Export, nato provvidenzialmente agli albori della crisi pandemica, ha creato per la prima volta da decenni, nel nostro Paese, le condizioni perché le istituzioni a sostegno dell’export agissero come un sistema coerente, coordinato e munito di risorse finanziarie adeguate. Maeci, Sace, Simest, ICE, il sistema confindustriale, quello camerale, e tutti gli altri enti coinvolti nell’affiancamento delle imprese esportatrici, hanno inaugurato una nuova stagione di sostegno organico e strategicamente coerente all’attività delle imprese italiane all’estero, i cui frutti hanno già cominciato a maturare».

Internazionalizzazione in Nord America. Quali prospettive e cosa serve per rafforzare la presenza italiana nei mercati Usmca di Usa, Canada e Messico?

«Il mercato nordamericano è cruciale per tutte le imprese esportatrici italiane, a partire da quelle del Nord Est. La sfida che ci attende è aggredire settori ed aree che non fanno ancora parte del novero dei nostri mercati storici di riferimento. Occorre, ad esempio, spingersi con più decisione verso la costa occidentale degli Stati Uniti, portando con sé il meglio che la nostra industria è in grado di offrire in termini di nuove tecnologie, start up e scale up, digitale, tecnologie ambientali. È anche e soprattutto un problema culturale: solo esponendosi ai giganti del settore, le nostre PMI potranno apprendere e crescere. E perché no, trovare forme di collaborazione che oggi appaiono impensabili. Su questo Confindustria è già al lavoro, d’intesa col MAECI e con i suoi partner naturali, per mettere a punto strumenti davvero innovativi di sostegno alle imprese».

E il Sudamerica invece? Un mercato molto complesso, volatile, che spesso sembra sul punto di decollare ma che poi performa meno del previsto.

«La volatilità dei mercati sudamericani non dipende purtroppo soltanto da fattori contingenti: non tutte le sue cause sono risolvibili attraverso lo strumento della politica commerciale. Esiste però un mezzo che potrebbe rendere più prevedibile ed accessibile molti di questi mercati: parlo dell’Accordo di Libero Scambio UE-Mercosur, che una volta completato il processo di ratifica ed entrato pienamente a regime consentirebbe anche alle imprese italiane di muoversi all’interno di un quadro più certo e definito».

L’Africa: un'altra eterna promessa o uno sviluppo strutturale della presenza italiana in questo mercato dal grande potenziale è possibile?

«Parlare di Africa in termini generici sarebbe un errore: si tratta di paesi spesso molto diversi tra loro per stabilità politica, reale accessibilità dei mercati, disponibilità di risorse umane e materiali. Sarebbe altrettanto sbagliato però parlare di Africa soltanto in termini prospettici, soltanto al futuro: alcuni mercati africani sono già di grande interesse per le aziende italiane, e non mi riferisco naturalmente soltanto ai campioni nazionali dell’energia, dell’oil and gas o delle infrastrutture. La Strategia Push, elaborata da Sace ed attuata anche grazie alla collaborazione offerta da Confindustria, si sta già rivelando molto efficace nel mettere in contatto offerta e domanda potenziale di prodotti italiani. Assafrica sta compiendo un’opera importante di disseminazione delle informazioni sui mercati italiani presso gli associati. Stiamo prevedendo, ancora una volta col MAECI, una serie di missioni tecniche che potrebbero sfociare, quando lo scenario lo consentirà, in ambiziose missioni di sistema. Insomma, per noi l’Africa non è soltanto il futuro: è un presente vivace e ricco di opportunità».

Come presidente di BusinessMed, quali sono le principali iniziative e gli obiettivi dell'Union of the Mediterranean Confederations of Enterprise?

«BusinessMed nasce da una costola del Processo di Barcellona e si appresta a celebrare il suo ventesimo anno di attività. È un’organizzazione importante, prima di tutto perché dimostra ogni giorno come, indipendentemente dalle dinamiche politiche, gli imprenditori di tutti i paesi parlino alla fine la stessa lingua. Che è una lingua inclusiva, molto più di quella della politica. È grazie a questo spirito che l’Organizzazione è riuscita, su molti temi, a trovare punti di convergenza non banali, spesso riversati in processi negoziali di portata più ampia, a partire dal G20/B20. Non appena le condizioni “ambientali” torneranno a consentirlo, BusinessMed tornerà ad essere quel laboratorio di progetti e facilitatore di contatti che è sempre stato».

L'Italia e l’Oriente: quali prospettive con Russia ed Eurasia, Middle East, i giganti asiatici Cina e India?

«Quella asiatica è davvero un’area troppo ampia per poterla liquidare con una battuta. Basti pensare soltanto ai meccanismi sanzionatori che ancora incidono su commercio ed investimenti in paesi come Russia o Iran. Sono in corso negoziati complessi, dai quali ci aspettiamo quanto meno la cancellazione di sanzioni dal contenuto marcatamente extraterritoriale e, come nel caso dell’Iran, il ripristino dei normali canali internazionali di pagamento.
Di Cina ed India è impossibile fare la sintesi: sono e saranno sempre più dei mercati cruciali, sia come sbocchi potenziali, sia come fonti di approvvigionamento. Su tutto, aleggiano fattori geopolitici che si manifestano da qualche anno e che contribuiscono a rendere la pianificazione aziendale più complessa.
Segnalo poi l’attenzione che merita il Sud Est Asiatico».

L'altra Asia, di cui si parla poco.

«È vero che si descrive il Sud Est Asiatico come un’area quasi dimenticata. Ma non è del tutto così, perché moltissime aziende italiane sono già presenti da anni in quest’area. Anche se, rispetto all’enorme potenziale di realtà come l’Indonesia, la Malesia o Singapore (il Vietnam fa storia a sé), l’Italia è decisamente sottorappresentata rispetto ai nostri principali competitor europei. Ci sono ragioni storiche che rendono la concorrenza più agile in mercati che appaiono più familiari. Ma noi abbiamo il dovere di correggere la rotta e portare le aziende italiane a sfruttare pienamente il potenziale di prestigio, affidabilità ed innovazione di cui pure già dispongono in quei paesi. Come vicepresidente di Confindustria con delega all’internazionalizzazione, questa è una delle principali priorità che intendo perseguire».

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