Cantieri di Stato in Europa. Berlino salva Meyer Werft
Il terzo polo produttivo dopo Fincantieri e i Chantiers de l’Atlantique in Francia

Lo Stato tedesco prepara il salvataggio dei cantieri navali Meyer Werft, i secondi in Europa dopo Fincantieri. Berlino è infatti pronto ad acquisire una quota di maggioranza della società che controlla i principali rivali del gruppo triestino nel mercato delle navi da crociera. Il costruttore navale tedesco, se l’operazione andasse in porto, diventerebbe dunque il terzo principale costruttore europeo di navi da crociera a controllo pubblico dopo Fincantieri e i Chantiers de l’Atlantique in Francia.
Il governo tedesco si è reso disponibile al salvataggio dopo la recente visita nello stabilimento principale del gruppo, a Papenburg, del Cancelliere Olaf Scholz e del presidente della Bassa Sassonia, Stephan Weil. Entrambi hanno sottolineato il loro «fermo impegno» a sostenere l’azienda nell’ambito di una ristrutturazione e di un progetto futuro. L’esito dell’operazione a favore di Meyer-Werft, afflitto da gravi problemi di liquidità, dovrebbe essere una «temporanea» nazionalizzazione: almeno l’80% del capitale, secondo l'agenzia di stampa locale Redaktionsnetzwerk Deutschland, finirebbe nella mani dello Stato e della Bassa Sassonia che fornirebbero quindi garanzie di prestito per 2,8 miliardi di euro. I cantieri tedeschi Meyer, che sono i secondi al mondo nella produzione di navi da crociera dietro alla Fincantieri, saranno così nazionalizzati dal governo tedesco, che entrerà in società a fianco del Land della Bassa Sassonia, dove si trova la città di Papenburg. La situazione nel cantiere navale, fondato nel 1795 e guidato per sette generazioni dalla famiglia Meyer, è infatti sempre più difficile.
Meyer Werft si trova nella peggiore crisi dei suoi oltre 200 anni di vita e deve raccogliere più di 2,7 miliardi di euro per finanziare nuove navi entro la fine del 2027. Il problema è l’aumento dei costi. Il gruppo deve adempiere a una serie di contratti per navi da crociera, stipulati prima della pandemia, sui quali pesa il drastico aumento dei prezzi dell'energia e delle materie prime. Una delle preoccupazioni maggiori del governo locale è l’occupazione perché Meyer Werft impiega 3.300 persone e altrettante sono quelle impiegate tramite appaltatori e fornitori nell’indotto. Il paradosso è che l’azienda cantieristica, rivale di Fincantieri, ha un portafoglio ordini record che vale 11 miliardi: Meyer Werft ha infatti contratti per 10 nuove navi da crociera, quattro delle quali sono state ordinate dalla Disney proprio questa settimana.
I cantieri tedeschi hanno incassato un pieno di ordini. Di recente il gruppo ha infatti consegnato la nuova nave Silver Ray (54.700 tonnellate di stazza lorda) al gruppo Royal Caribbean e sta lavorando alla Disney Treasure (135.000 tonnellate) la cui consegna è prevista entro la fine del 2024. Sono poi in corso anche i lavori per la Asuka III (51.950 tonnellate di stazza lorda) e di recente è stata avviata anche la costruzione della Disney Destiny, una nave gemella per Disney Cruise Line. L’accordo di salvataggio pubblico, che sarebbe già stato definito e accettato da entrambe le parti, riserva il diritto di opzione alla famiglia Meyer, che detiene il controllo del cantiere attraverso la holding Meyer Neptune.
Secondo gli analisti di Banca Akros, la notizia non ha un grande impatto su Fincantieri, che negli scorsi mesi ha ricevuto tramite la joint venture con Leonardo, Orizzonte Sistemi Navali, diverse commesse da parte della Marina Militare Italiana.
La discesa del governo di Scholz per salvare i suoi cantieri mostra di fatto che i tempi sono cambiati e sull’Europa spira un forte vento protezionista. Solo cinque anni fa proprio Fincantieri fu fermata dalla Francia di Macron nel tentativo di conquistare i cantieri coreani ex Stx dopo il fallimento (oggi Chantiers de l’Atlantique) e dare vita all'Airbus dei mari, un progetto che puntava a creare un grande gruppo europeo. Ma i tempi sono cambiati.
Nell’Unione Europea la Germania non è più nemica degli aiuti di Stato, non più considerati un ostacolo alla concorrenza, come accadeva al tempo del rigore finanziario dell’era Maastricht. Il tramonto della globalizzazione ha lasciato il passo a un’Europa comune dove conta soprattutto la protezione degli interessi industriali di ciascun Paese. —
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