Cattolica-Bpvi: dopo la lite è caccia a nuove partnership

Nell'ultima lettera da Verona, nuovi spiragli dopo il recesso dal patto di banca assurance. Il vice presidente Bpvi Bragantini: "Un buon accordo meglio della guerra ma parliamo anche con altri"

Sul fronte Cattolica, Banca Popolare di Vicenza ha subito affilato le armi ma è presto tornata a più miti consigli. Dopo la perdita di 310 milioni, frutto della svalutazione e dell’uscita dall’accordo di banca assicurazione, l’obiettivo è ora portare a casa un nuovo patto commerciale. E anche Cattolica ha aperto uno spiraglio in questo senso.


Sia chiaro: il recesso non è discutibile ed è per Cattolica «un diritto» che è stato esercitato secondo le regole. Ma nell’ultima lettera indirizzata al presidente Bpvi Gianni Mion e all’ad Francesco Iorio, firmata dal ceo di Cattolica Gian Battista Mazzucchelli, c’è scritto nero su bianco che si «confida in un immediato confronto che consenta di elaborare possibili nuove forme di iniziative comuni, di reciproco interesse, di natura industriale e commerciale».

La lettera è arrivata in risposta alla missiva del 24 agosto scorso, inviata da Vicenza, in cui Bpvi contestava il diritto di recesso scattato con la trasformazione della banca in Spa. Un diritto che Cattolica, in replica, definisce «valido, ineccepibile ed efficace». Mentre la posizione di Bpvi è «illogica e infondata». Nell’attesa dunque che prevalga «obiettività di giudizio e buona fede» Cattolica ha aperto uno spiraglio. E un qualche accordo andrà trovato, visto che il recesso ha diverse implicazioni.


Primo: l’immediata cessazione di tutte le rappresentanze e tutele Bpvi nella gestione e nell’assetto societario di Cattolica. Bpvi (anzi Atlante) oggi è primo azionista al 15% ma non avrà più membri in Cda. C’è poi l’impegno scritto di Bpvi «a prestare in ogni sede, inclusa l’assemblea, il consenso alla modifica di ogni e qualsivoglia clausola dello statuto ove ritenuto insidacabilmente opportuno da Cattolica».

Cessa anche il lock up, ovvero: il blocco alla vendita di oltre 4 milioni di azioni detenute da Bpvi. C’è poi «l’impegno Bpvi» a un eventuale alienazione «di tutta o parte della partecipazione» «purché superiore al 3% del suo capitale». Insomma: gli effetti «immediati o differiti nei termini individuati» potrebbero essere peggiori della perdita. «Quello che dobbiamo fare ora è iniziare una discussione, con loro e con altri, per vedere con chi sarà opportuno instaurare i rapporti di banca assurance. Vedremo se loro vogliono davvero negoziare o no» spiega il vice presidente Bpvi, Salvatore Bragantini.

La banca sapeva da mesi dell’intenzione di Cattolica, ma nessun rinvio è stato fatto. «L’abbiamo chiesto - spiega Bragantini - ma ci è stato detto che chiederlo significava riconoscere un diritto. Loro ci hanno scritto una lettera con la comunicazione di recesso e noi gli abbiamo risposto. Questione forse di punti di vista. Quel che non si può discutere è che la banca ha perso 230 milioni in Cattolica; e non l'ha gestita la Bpvi. E per di più abbiamo pure preso un calcio nei denti immotivato per esserci trasformati in Spa».


Cattolica non commenta. Bragantini, intanto, sull'esito finale della trattativa, chiarisce: «Non sono profeta, è chiaro che l'accordo, un buon accordo, è preferibile alla guerra; se poi qualcuno vuole la guerra non avremo scelta». Fare la guerra significa oggi chiedere la trasformazione in Spa. «È innegabile che Cattolica sia un unicum in Italia, sfuggita al giusto decreto del governo che ha trasformato le cooperative creditizie, oltre certe dimensioni, in Spa» chiarisce. Bragantini si chiede il perché di questo unicum ma se cerca risposte, la via è quella di Roma e, precisa il sottosegretario Pier Paolo Baretta: «Il quesito non è mai stato formulato come richiesta al governo, quindi l'unica cosa che posso dire è che la questione sarà approfondita appena sarà segnalata formalmente nelle sedi opportune».

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